E’ la confusione terminologica che alimenta l’apparente boom messo in luce dal nuovo Rapporto Ldsi sulla professione giornalistica o è il giornalistificio in atto a produrre dilettanti da ricondurre solo dialetticamente tra i giornalisti “attivi”?
L’ultimo rapporto sulla professione giornalistica in Italia, pubblicato oggi (qui) da Ldsi, fotografa un già noto scenario da basso impero e non svela novità sconcertanti.
Ma merita alcune considerazioni trasversali.
Per il dettaglio rimando al rapporto medesimo. Sintetizzabile come segue: si restringe sempre di più il campo del lavoro giornalistico dipendente e anche il peso occupazionale delle testate tradizionali. La “bolla” del lavoro autonomo (o parasubordinato) continua a gonfiarsi e, sul piano quantitativo, domina ormai l’industria giornalistica, coprendo ora quasi i 2/3 dei giornalisti attivi ma raccogliendo redditi fino a 1/7 di quelli medi dei salariati. La forbice lavoro dipendente/lavoro autonomo si divarica sempre di più. La percentuale degli “autonomi” sulla popolazione giornalistica attiva è passata dal 59,5% del 2012 al 62,6% della fine del 2013. Eppure, nonostante la crisi, il numero dei giornalisti “attivi’’ continua a crescere, sfiorando le 50.000 unità. Per quanto riguarda il rapporto tra attivi e iscritti all’Ordine, i primi costituiscono solo il 47,1%, dato peraltro “gonfiato” da posizioni estinte. “Si tratta – dice il rapporto – di uno degli elementi che imporrebbero una radicale revisione dell’attuale struttura ordinistica“.
Proviamo a tradurlo in termini più diretti e a spiegarlo in modo pratico: il giornalismo italiano è sempre meno professionale perchè da un lato i dipendenti sono sempre di meno e i non dipendenti spuntano redditi sempre più bassi, spessissimo inferiori alla soglia della sopravvivenza. Insomma “autonomo” è l’eufemismo che anche il rapporto usa per indicare un giornalista che, nove casi su dieci, è un dilettante di fatto.
Si dirà: lo è solo da un punto di vista reddituale, non professionale.
Certo, ma la risposta è: dov’è la differenza?
Se uno è un bravissimo cuoco, ma per campare fa l’elettricista, vuol dire che di mestiere fa l’elettricista e per hobby cucina. Così, se uno è un bravissimo giornalista, ma la famiglia la mantiene lavorando in banca, di lavoro fa il bancario e solo nel tempo libero il giornalista.
Non c’è nulla di strano, nè di male, intendiamoci: il nostro ordinamento lo consente e ci sono tanti elettricisti e bancari più bravi dei giornalisti di professione.
Ma il problema è appunto un altro: questo giornalismo fatto per hobby non è più un lavoro, uno strumento di procacciamento del reddito. E’ un passatempo. Al massimo un secondo lavoro, per arrotondare. Ben fatto quanto vogliamo, ma non un lavoro.
Ha senso allora dire che “il lavoro autonomo o parasubordinato domina l’industria giornalistica“?
Forse sì, se si fa riferimento alla produzione dei contenuti. Certamente no, se si fa riferimento alla produzione del reddito. Cioè a quello che per definizione è lo scopo di un “lavoro”.
Direi allora, più correttamente, che l’ultimo decennio ha segnato la progressiva dilettantizzazione del lavoro giornalistico. Una dilettantizzazione gestita e, paradossalmente, perfino alimentata dall’ente che dovrebbe invece costituire la valvola a cui è affidato il governo della professione e l’accesso alla medesima: l’Ordine.
Alcuni, Ldsi compreso, attribuiscono questa patologia alla mancata riforma.
Mi pare vero, ma solo in parte. E in parte mi pare una magnifica scusa.
Contravvenendo alla più ovvia delle leggi economiche, quella della domanda e dell’offerta, in base alla quale il prezzo varia in modo inversamente proporzionale all’offerta, si sono infatti creati piano piano i presupposti per i quali il giornalismo autonomo “da reddito”, cioè svolto in maniera libero professionale, andasse a morire, sostituito – per la gioia dell’utente, cioè dell’editore – da un giornalismo autonomo “da passatempo”.
Cosa già di per sè paradossale.
Ma che diventa surreale quando si pensa che il tutto è retto e gestito da qualcosa che appunto si chiama “ordine professionale“.