In “Falsi di Gusto” il giornalista Vincenzo Coli si diverte a imitare lo stile di quindici grandi scrittori, da Hemingway a Proust, condensandolo in racconti che hanno al centro la gastronomia della città del Palio. Dove sapori e surrealtà vanno a braccetto.

 

L’unico difetto, si fa per dire, di questa divertente produzione letteraria del collega Vincenzo Coli è che, quando parla di cibo, si capisce subito che l’autore conosce fin troppo bene – e non solo in teoria – la materia. Il mangiare, insomma. E il modo in cui ne parla, il momento in cui colloca piatti e leccornie nell’economia dei racconti, evocandone i sentori, tradiscono platealmente le sue radici senesi.
Colpa lieve, però, in un’operazione letteraria che della leggerezza del risultato finale (certo non direi della stesura, visto che sobbarcarsi lo sforzo creativo di imitare alla perfezione lo stile di quindici giganti della letteratura mondiale non dev’essere stato facile) fa il suo principale obbiettivo.
Nasce così questo “Falsi di Gusto” (Editrice Nuova Immagine, 2014, 96 pagine, 15 euro), quindici stralci enogastrosituazionali scritti “alla maniera di” Camilleri, Vàsquez Montalban, Bukovski, Joyce, Salinger, Proust, Bronte, Gadda, Nabokov, Petronio, Hemingway, Yoshimoto, Borges, Tolstòj e Barbery. Una lettura, ve lo assicuro, altamente godibile. Tanto per l’agilità del taglio narrativo, quanto per la capacità che il Coli dimostra di saper parodiare i modelli senza mai scadere nel grottesco o nella caricatura fine a se stessa.
E, voglio aggiungere, anche per la sua assoluta mancanza di autocompiacimento. Chiamato com’era il collega in quest’opera, per forza di cose e assai insidiosamente, a far sfoggio di intima familiarità con le pagine di cotanto parterre.
Da “Falsi di Gusto” esce fuori insomma una sottile vocazione sedimentaria e postmoderna, in equilibrio tra il divertissement e la confessione burlesca. Ed ecco quindi Montalbano alle prese con trippa e ribollita, Bukowsky coi pici al sugo d’anatra, la bruschetta del Giovane Holden, il pecorino di Proust, il Brunello di Trimalcione, Tolstòj a confronto con le pappardelle alla lepre e così via.
Ci mettono del loro, ad arricchire il volumetto, sia la prefazione del compianto Alessandro Falassi, ovviamente scritta”alla maniera diAnthelme Brillat-Savarin, e le quindici tavole a colori, una per autore, attraverso le quali un illustratore di vaglia come Gianluca Biscalchin riassume i racconti: “Biscalchin siede spiritico ed evoca l’ectoplasma di Coli per rimandare foreste semantiche e semiotiche, semitiche forse, nel tratto traducente storie“, spiega nell’altra prefazione Achille Bonito Oliva.
Ma è lui o non è lui?
Appunto.