Da un lato il cosiddetto “popolo della rete” si mobilita contro il “comma 29” del ddl antintercettazioni e parla di attentato alla libertà, indicendo per il 29 ottobre a Roma l’immancabile manifestazione. Dall’altro il governo corregge il tiro, ma vara norme anacronistiche. Risultato: un colossale esercizio di conformismo collettivo.

C’è chi confonde la libertà di espressione con l’impunità. Chi vorrebbe tirare il sasso e nascondere la mano. Chi vorrebbe liceità di diffamare. Chi, semplicemente, in omaggio a un certo disinvolto costume contemporaneo, aspira a fuggire dalla responsabilità ma continuando tuttavia a fare ciò che gli pare, senza renderne conto. Chi scambia opinioni personali per informazione. E chi ha una visione anacronistica, e quindi inadeguata, della blogosfera, di internet e dei fenomeni ad essa connessi.
Insomma è un magma bipartisan di idee conformiste, confuse e belanti quella che accompagna l’immancabile liturgia scioperesca, predicata dagli indignati di professione e dai fiaccolatori per missione, prevista domani contro il cosiddetto comma 29 del “decreto ammazzablog” e il presunto “bavaglio” imposto alla rete dal ddl sulle intercettazioni,. Mentre da parte sua il legislatore dà in effetti il meglio di sè per fare goffamente confusione e, proponendo normeinadeguate, offrire facilmente il fianco alle critiche più aspre. Il tutto in un clima iperideologicizzato da campagna elettorale permanente.
Il risultato è un’esplosiva miscela di slogan propagandistici pro e contro il decreto che si intreccia nella rete e sul quale in molti si esprimono per sentito dire o per imbeccata altrui, senza conoscere nulla o capendone ben poco.
Cerchiamo allora di fare un po’ di ordine, partendo dall’inizio.
La rete è come un bar, o una grande piazza. Al bar, o in piazza, posso dire all’orecchio del mio vicino tutto ciò che voglio, anche parlar male di qualcuno, senza incorrere in alcuna sanzione. Se però, invece di sussurrare, urlo o faccio un volantinaggio, e la mia critica è udita o letta da almeno 5 persone, la persona offesa può querelarmi per il reato diffamazione o di calunnia. Questo per dire che l’ordinamento già prevede una forma di difesa per il cittadino che si senta leso nella sua onorabilità da parole altrui o fatti suoi propalati in pubblico. E per dire, quindi, che non è affatto vero che in Italia si possa impunemente dire qualsiasi cosa di chiunque senza doversene assumere la responsabilità. Un principio che vale ovviamente sempre, per tutti ed ovunque. Anche nella cosiddetta rete.
Il ddl governativo è dunque inutile, pleonastico, strumentale, cela insidie inconfessabili, è un provvedimento ad personam?
Sì e no.
Certo lo è ad esempio nel momento in cui, appunto pleonasticamente, prevede per le testate giornalistiche sul web, come tali registrate e quindi soggette alla legge sulla stampa, l’obbligo della rettifica: un obbligo che già c’è ed è perfettamente vigente. Ciò perchè, come anche le norme deontologiche esplicitano, è preciso dovere del giornalista e del giornale, tramite il suo direttore, verificare le notizie prima della loro pubblicazione e valutare fino a che punto la loro rilevanza e diffusione debba rispettare il diritto di riservatezza dei soggetti coinvolti. Se una notizia è falsa o riportata in modo non corretto è giusto che si possa chiedere di rettificarla. Cosa che accade abbastanza spesso, con un meccanismo legale ormai collaudato.
Fin qui nessun dubbio.
Ne affiora casomai qualcuno quando dalla rettifica della notizia si passa alla richiesta di rettifica dell’opinione. Se ad esempio io giornalista recensisco un libro e scrivo che è pessimo, possono l’autore o l’editore ritenersi diffamati dall’esercizio mio diritto di critica? Direi di no, a meno che non abbia usato nei confronti del libro o dell’autore espressioni offensive (dire che lo scrittore “è un cane” o che “è un cretino” è ben diverso da dire che il suo libro è brutto).
Ed è abbastanza paradossale, se non ridicolo, che le vestali della libertà dell’informazione allo stesso modo non si indignino quando i politici e i giudici mettono il bavaglio alla stampa chiedendo o minacciando la richiesta di risarcimenti miliardari ai giornalisti se qualcuno osa scrivere cose poco gradite sul loro conto. Ma andiamo avanti.
Fin qui si restava infatti nel campo dell’informazione professionale, del giornalismo, un settore che come detto è già ampiamente normato.
Il discorso cambia, almeno parzialmente, se si parla invece di blog amatoriali, social network e simili. Cioè di quell’universo che, tramutando il materiale in virtuale, equivale a una piazza o a un luogo pubblico che chiunque può frequentare e che costituisce una comunità.
In questo caso è poco realistico, ed anche iniquo, pensare di imporre norme draconiane, termini perentori e sanzioni salatissime per chi non rispetta l’obbligo di controllo o di rettifica sulle notizie pubblicate in rete.
Ma, riconosciamolo, ce ne corre parecchio anche dall’idea, davvero bislacca, per cui sia lecito via internet diffamare o calunniare o violare la privacy di qualcuno quando la stessa cosa è giustamente sanzionata se fatta a voce, o per lettera, o scritta sui muri.
Non è invocabile insomma un principio di’irresponsabilità per atti diffamatori compiuti in rete, visto che il web è un medium come un altro che e – anzi – ha per sua natura una rapidità e un’efficacia tali da rendere l’entità del danno procurato a un terzo ben più grave anche del “venticello” propagato attraverso il passaparola e la tradizionale maldicenza paesana. Nè valgono in contrario certi argomenti un po’ ridicoli portati dai difensori dei blogger sull'”impossibilità” degli stessi di prevenire le espressioni ingiuriose e/o di rimuoverle o correggerle su richiesta della parte offesa: se uno ha il tempo e la voglia di tenere un blog, ha e deve avere anche quello di controllare cosa pubblica. Altrimenti si astenga dal popolare la rete. Mi pare cioè che un minimo dovere di diligenza e di senso di responsabilità sia ragionevole pretenderlo da chiunque, sanzionandolo equamente.
Cosa che senza dubbio non accadeva – e qui avevano ragione i contestatori – nella prima stesura del ddl, ove si prevedevano per tutti regole uguali e rigidissime (obbligo di rettifica entro 48 ore e multe fino a 12.500 euro), senza distinzione.
Pare però che il tutto sia stato saggiamente ripensato e che il giro di vite sia stato ammorbidito, distinguendo fra blog privati e professionali, come quelli delle testate giornalistiche, e abbassando le sanzioni per i primi. “E’ giusto mantenere il dovere di rettifica – ha spiegato il deputato del pdl Roberto Cassinelli – ma non si possono equiparare i blog professionali e quelli del privato cittadino ed è un’illusione quella di applicare alla rete le stesse regole che valgono per altri mezzi”.
La nuova proposta prevede l’obbligo di rettifica entro 48 dalla richiesta solo per le testate professionali e sposta a dieci giorni il termine per i blog amatoriali. E questo, a decorrere dal momento in cui il blogger ha la conoscibilità della richiesta. In ogni caso, non possono essere oggetto di richiesta di rettifica i contenuti destinati ad un gruppo chiuso ne’ i commenti ad altri contenuti principali, in modo da rendere impermeabili all’obbligo di rettifica i profili privati sui social network. La sanzione (da 7500 a 12500 euro) e’ ridotta per i siti amatoriali da 250 a 2.500 euro. Una ulteriore riduzione (da 100 a 500 euro) e’ applicata a chi indica un valido indirizzo di posta elettronica al quale fare pervenire le richieste di rettifica.
Mi pare insomma che, senza farsi accecare dalle simpatie politiche e dalle strumentalizzazioni, siano strati messi in atto alcuni giusti correttivi e che molti dei motivi o dei timori della protesta siano stati rimossi.
Vediamo se pari saggezza sarà riscontrata nei manifestanti o se, come al solito, la macchina della propaganda porterà a termine il suo disegno a colpi di slogan e di spauracchi agitati in piazza.

PS e NB: questo blog è una testata giornalistica a tutti gli effetti e chi lo gestisce, cioè il sottoscritto, un giornalista. Su Alta Fedeltà tutte le informazioni pubblicate sono pertanto controllate nel rispetto delle norme vigenti sulla professione. E tutti le opinioni qui espresse ricadono sotto la mia responsabilità.
Mi pare una cosa dovuta verso i lettori e verso me stesso.
Le parole in libertà le lascio agli altri.