Tra i freelance c’è chi pensa che sia un diritto avere acquistati e pubblicati i propri articoli e che, pertanto, per qualcuno ci sia un dovere. Così spesso ci si lamenta delle scarse assegnazioni come di un attentato alla libertà di stampa. Ma le cose sono un po’ più articolate e la verità va guardata in faccia.
Il giornalista freelance è un libero professionista.
Non addentriamoci, per una volta, nelle disquisizioni su ciò che legalmente, fiscalmente, formalmente denota questa figura (rimando gli interessati alle note del mio “censimento dei freelance” del 2013, vedi qui) e limitiamoci a dire che il freelance è un giornalista libero da rapporti contrattuali di dipendenza da un editore e, quindi, opera sul mercato di chi offre a potenziali committenti o acquirenti la propria capacità professionale.
Insomma il freelance è esattamente come un avvocato, un architetto, un agronomo che presta i suoi servigi a un cliente che li richiede, oppure glieli offre nella speranza che egli li acquisti.
Tradotto in termini economici, significa che se non hai clienti non batti chiodo e che, se non batti chiodo, non campi.
Chiariamo che, come l’esperienza insegna e dimostra, non sempre la mancanza di clienti/committenti è segno di incapacità, anzi. E che, nel caso dei giornalisti, è frequente il contrario. Soprattutto in un momento storico in cui, nell’informazione, la combinazione della mancanza di risorse e di volontà di approfondimento rendono la figura del professionista capace, preparato, puntiglioso, accurato e onesto sempre più superflua.
Detto questo, è però anche bene ribadire che non esiste neppure nessun astratto “diritto” del giornalista autonomo a vedere pubblicati i propri articoli, nella misura in cui non esiste nemmeno alcun dovere di un editore di acquistarli per poi pubblicarli.
E’ perciò abbastanza risibile l’argomento, purtroppo molto spesso evocato da numerosi colleghi, anche esperti, che la mancanza di incarichi professionali costituisca un attentato alla libertà di stampa o un modo per tappare la bocca ai giornalisti.
Sono molti infatti gli altri elementi che possono contribuire a rendere un giornalista freelance privo di richieste da parte di un editore e perciò, in sostanza, disoccupato.
Primo fra tutti la facoltà di ogni giornale di scegliere una propria linea editoriale e, di conseguenza, di evitare di servirsi di giornalisti (si parla sempre di collaboratori) che siano ritenuti non in sintonia con essa. Trovo che non ci sia nulla di strano in ciò. Del resto è una questione di ruoli: come l’editore è libero di scegliere la linea, così il giornalista, se ingaggiato, ha il diritto/dovere di essere sempre autonomo dalle eventuali pressioni dell’editore o chicchessia.
Detto questo, però, occorre aver chiaro che possono esserci pure tanti altri motivi per una mancanza di ingaggi: l’incapacità del giornalista (o quella ritenuta tale dal committente), la scarsa preparazione o l’incompetenza del singolo, la sua scarsa professionalità (puntualità, diligenza, accuratezza…), i cattivi rapporti personali o una cattiva reputazione, un cattivo carattere, una ridotta capacità di cogliere gli argomenti giusti o i tagli giusti per le proprie proposte, la mancanza di aggiornamento sui temi trattati o anche sulle tendenze del mondo editoriale in cui si ambisce a collocarsi. Per non dire di una categoria pletorica che produce, purtroppo, un’offerta eccedentaria in cui le qualità individuali si diluiscono.
Sovente c’entrano, con le difficoltà, un po’ di tutte queste cose messe insieme. Ma che non hanno nulla a che vedere con il bavaglio alla stampa.
Certo: cogliere o ammettere i propri limiti non è facile per nessuno. Nemmeno per i giornalisti, spesso ottusamente avvezzi a un’idea egualitaria della categoria smentita giorno per giorno dai fatti.
Ma, ogni tanto, farsi anche qualche domanda sulla propria adeguatezza e sulle conseguenze di certe proprie (magari nobili) scelte, senza sempre accusare gli altri di vessazioni e ingiustizie, non sarebbe una cattiva idea. Per dire dell’opportunità di rispondersi.
Personalmente, da quando ho cominciato, vivo e lavoro meglio.