di LUCIANO PIGNATARO.
“Inversione” a sorpresa dell’ordine naturale (l’arcano sarà svelato giovedì prossimo): Luciano anticipa a oggi, sostituendosi a Carlo Macchi, e lo fa con un report a volo d’uccello sul classico bianco campano. “”Per viaggiare nel tempo”, dice lui.
Il Fiano di Avellino rappresenta la punta di diamante dell’enologia bianca meridionale: acidità e finezza sono le due caratteristiche che lo rendono appetibile per la grande massa dei consumatori mentre gli appassionati lo apprezzano per la sua incredibile propensione all’invecchiamento. Una caratteristica, questa, a cui da un po’ di tempo alcuni produttori mostrano di iniziare a credere, soprattutto dopo il successo di Marsella, il primo ad uscire sistematicamente a un anno dalla vendemmia. Pratica oggi considerata quasi normale ma che nel 1997, prima annata di produzione dell’azienda di Summonte, era assolutamente innovativa. Del resto ancora oggi tutti i maggiori produttori (con l’eccezione dei Marsella, Ciro Picariello, Quintodecimo, Villa Diamante) sono già in commercio con la 2010 ed è allora il momento di fare un bilancio della 2010, riservandoci una disamina completa della 2009 a breve.
L’annata
Sicuramente migliore per il Fiano che per il Greco in linea di massima. Le due grandi uve si alternano perché i tempi della vendemmia sono sfalsati. Come ho avuto modo di di scrivere sul Mattino, dopo la prima metà di settembre decisamente piovosa, la frutta ha potuto godere di un buon recupero equilibrato per ben 26 giorni, interrotto solo da tre giorni di pioggia ben distanziati fra loro: il 20 e il 25 settembre e il 5 ottobre. In sostanza, il Fiano ha avuto la possibilità di maturare nella fase finale, quella decisiva, ed essere portata asciutta in cantina. Ben diversa la situazione per il Greco, che ha avuto dieci giorni di pioggia dall’11 ottobre sino alla fine del mese anche se non sono mancate le sorprese come vedrete dai riconoscimenti Slow Wine 2012.
Sin dai primi assaggi nelle cantine anche i Fiano base hanno mostrato vivacità e complessità, se fossimo commercianti, ma non lo siamo, e se avessimo capitali da parte, ma non li abbiamo, faremmo buona scorta di Fiano di Avellino 2010 per metterle in vendita tra cinque anni. Ma purtroppo in Campania, direi in Italia, mancano completamente queste figure. Paradossalmente le abbiamo per il formaggio, ma non per il vino.
L’analisi commerciale, dati e anagrafe
Il grande balzo del Fiano è avvenuto tra il 2001 e il 2003, anno del riconoscimento docg quando la produzione è passata da 12.218 a 24.987 ettolitri. Poi la cifra è rimasta sostanzialmente stabile in un quadro complessivo di leggero calo: nel 2010 gli ettolitri prodotti sono stati 22.787 a cui dobbiamo aggiungerne altri 1095 della doc Irpinia. Contestualmente, al netto del passaggio dalla lira all’euro, i prezzi di listino delle aziende sono fermi da dieci anni a 6,50-7 euro, ma sappiamo che in realtà il prezzo di vendita reale all’ingrosso oscilla tra i 4 e i 5 euro iva compresa. Contestualmente, il valore delle uve si è praticamente dimezzato. Stesso andamento, anche se con dimensioni doppie per il Greco di Tufo, che negli stessi anni ha performato rispettivamente così: 25.492, 45.970, 38.469 ettolitri. Infine uno sguardo al valore dei terreni impiantati, che oscilla tra i 70 e i 90mila euro ad ettaro con un calo di valore generalizzato di almeno il 30% rispetto a cinque anni fa.
Il Fiano di Avellino al momento ha 438 produttori iscritti con 561 ettari, ma le denunce vedono in realtà al lavoro 362 viticoltori con 436 ettari con un rapporto medio di 1,2 ettari a produttore.
Il frazionamento della proprietà rurale da un lato ha contribuito a conservare i vecchi vitigni, dall’altro però ha rallentato l’introduzione di sistemi moderni di allevamento e solo all’inizio degli anni ‘90 si sono introdotte pratiche come la potatura verde o la gestione ecocompatibile, soprattutto nelle aziende specializzate nel Fiano. Prima del 1990 erano solo cinque: Vadiaperti, Di Meo, Romano Nicola, Cantina del Barone e Pietracupa. A seguire: 1992 Montevergine (che ha chiuso), 1993 Barone Simone Andrea Chantal (che ha chiuso), La Casa dell’Orco, 1994 Clelia Romano, 1996 Urciuolo, 1997 Marsella e Villa Diamante. A partire da quella data, le aziende nasceranno con il grande equivoco di presentarsi sul mercato con le tre docg, fatta eccezione per Rocca del Principe nel 2004 per un paio di vendemmie.
Appare chiaro dunque che la cifra dell’annata viene data dalle grandi aziende: Mastroberardino, Feudi e Terredora a cui aggiungiamo Montesole e D’Antiche Terre, che da sole producono il 70% delle 3.000.000 di bottiglie. Del restante 30, almeno il 15% porta la firma di aziende non irpine. Ecco perché i Fiano di Mastroberardino, Feudi e Terredora, ossia di grandi aziende (per quanto questo aggettivo si possa usare in Campania) impegnate a coltivare proprie uve, restano i marker indispensabili per capire il genius loci dell’annata.
Vorrei adesso segnalarvi quali mettere, in base agli assaggi che ho fatto, per avere l’idea dell’annata 2010. I punteggi sono ovviamente “responsabilità” e non di tutti i giovani Igp!
1-Le aziende più grandi
Radici 2010 Fiano di Avellino docg, Mastroberardino | 86
Ecco il classico dei classici, dallo storico vigneto di Santo Stefano del Sole, siamo oltre 550 metri con lo sguardo rivolto al Sud. Massimo Di Renzo, enologo della casa, cerca soprattutto i sentori dolci di frutta al naso mentre in bocca la degustazione è a due tenpi, un ingresso abbastanza morbido, poi lo scatto acido e lungo con un finale secco e piacevolmente amaro. Snello, fine, discreto quasi, secondo lo stile classico dei bianchi Mastroberardino.
Pietracalda 2010 Fiano di Avellino docg, Feudi di San Gregorio | 85
Dopo alcune annate francamente imbarazzanti, con naso di banana e ananas, Pierpaolo Sirch da un paio di vendemmie è riuscito ad imporre una svolta decisa. Manca forse di complessità, ma sicuramente ha una freschezza più decisa e marcata del precedente. Si tratta di una selezione di uve coltivate a Sorbo Serpico, nei pressi dell’azienda e vicino la vigna di Mastro che abbiamo citato.
Terre di Dora 2010 Fiano di Avellino docg, Terredora | 87
Dei tre il mio preferito. Lucio Mastroberardino si sta esprimendo davvero bene con i bianchi, qui siamo in presenza di uve provenienti da Montefalcione e Lapio. Al naso tipico del Fiano, frutta bianca come susine e pere fa da contraltare una beva energica, piena, molto ben calibrata. Lungo, secco, esprime anche un tocco fumé molto piacevole.
Fiano di Avellino 2010 docg D’Antiche Terre |84
La storia di questa azienda poco conosciuta pur essendo la quarta per dimensioni in Irpinia, nasce una trentina di anni fa, quando Vito si trasferì da Vallata ad Atripalda per aprire una attività di vivaismo, da qui alla vigna il passo è stato breve, brevissimo anche perché i terreni allora costavano davvero poco perché nessuno ci credeva più. Poi, all’inizio degli anni ‘90 si iniziare a vinificare in proprio e da oltre dieci anni la cantina si è progressivamente ingrandita sino a diventare una delle realtà più significativa del territorio. La nuova struttura, adesso è gestita con passione e impegno dal figlio Gaetano. Un Fiano dai profumi non intensi ma persistenti, in bocca buona acidità e carattere.
2-L’areale di Montefredane
Siamo in un comune a ridosso di Avellino, sulla collina lavorano Vadiaperti, Pietracupa e Villa Diamante. Da qualche mese è in attività una nuova azienda e qui ha il vigneto anche Ciro Picariello che poi assemblea le uve con quelle di Summonte
Fiano di Avellino 2010 docg Pietracupa |92
Sabino Loffredo ci ha abituato da tempo a strepitose performance con i bianchi. Anche in questa versione la frutta viene presa per mano dall’acidità prorompente, tipica di questa zona, e portata in alto in un continuo e infinito rimbalzo. Un vino pieno, di corpo, di lunghissime e importanti prospettive future.
Fiano di Avellino 2010 docg Vadiaperti |89
Lo stile di vinificazione di Raffaele Troisi non ha mediazioni: è tutto sul versante acido e assolutamente secco, bisogna aver bevuto parecchio per amare questi vini oppure utilizzarli come andrebbe sempre fatto, berli con il cibo. La 2010 esprime una grande potenza minerale, è sapido, lungo, velocissimo al palato. Forse meno esaltante al naso dove appare piuttosto monocorde e aggrappato a sentori agrumati in questo momento dominanti.
Alimata 2010 Fiano di Avellino docg, Villa Raiano |91
Vorrei anzitutto segnala re il base di questa azienda nata nel 1996 dalla gemmazione di una storia centenaria nel settore dell’olio. Un paio di anni fa la svolta con la costruzione della nuova cantina e l’ingresso di Fortunato Sebastiano, grande attenzioneall’ecocompatibilità in vigna. Da uve di Montefredano si produce questo cru che ne riflette le caratteristiche in pieno: mineralistà, verticalità della bevuta, buon corpo, freschezza, nessuna nota piaciona. Grandi aspettative evolutive.
3-La zona di Lapio
A Lapio oggi operano quattro aziende Colli di Lapio, Romano Nicola, Rocca del Principe
Fiano di Avellino 2010 Colli di Lapio Clelia Romano | Voto 86
Si può definire un classico grazie alla mano felice dell’enologo Angelo Pizzi che ha segnato lo stile di questo areale: fiori e frutta bianca al naso, vini di equilibrio al palato con l’acidità ben presente ma non in evidenza come nel caso dell’areale di Montefredane. Millesimo dopo millesimo Clelia, adesso affiancata dai figli Carmela e Federico, ci ha presentato sempre vini bianchi di qualità che bevuti a distanza di tempo hanno regalata grandi soddisfazioni. Questa volta, almeno nella battute iniziali, ci appare meno veloce e fresco degli altri anni.
Fiano di Avellino 2010 docg Filadoro |84
Gli imprenditori Vittorio e Walter Lepore e Giancarlo Ioanna hanno creato la quarta cantina del paese con l’aiuto dell’enologo Angelo Valentino. Alle spalle ci sono i terreni di famiglia, cinque ettari di fiano e uno di aglianico piantati una ventina di anni fa a circa 500 metri di altezza. Il Fiano 2010 è pticolarmente riuscito, ha una bellissima spinta al palto e buona complessità al naso. Da seguire.
Fiano di Avellino 2010, Rocca del Principe |Voto 87
La famiglia Zarrella da sempre coltiva uva e produce vino. Ercole, insieme alla moglie Aurelia Fabrizio e al cognato Antonio nel 2004 ha deciso di imbottigliare lavorando quasi esclusivamente sul Fiano. La proprietà è di cinque appezzamenti sparsi nel territorio comunale, il maggiore dei quali è a Contrada Arianello quasi confinante con Clelia Romano. In effetti le caratteristiche dei due vini si somigliano molto. In questo caso il bicchiere è un po’ più veloce e sottile, ha una nota di eleganza leggermente più marcata.
Ventidue 2010 Fiano di Avellino, Villa Raiano |Voto 87
Ecco l’altro cru di Fiano impostato da Fortunato Sebastiano per Villa Raiano. Buona frutta a pasta bianca, note di salvia e menta, discfeta freschezza in bocca. E’ davvero didattico provare i due cru insieme per capire come la stessa uva possa esprimersi in maniera completamente differente a soli 20 chilometri di distanza. Un plauso a Villa Raiano per aver impostato questo lavoro che ci attendiamo da tutti i grandi e una raccomandazione che rimarrà inascoltata: fate uscire i cru con due anni di ritardo, cazzo!
4-Il Serinese
Si tratta del corridoio che consente, dopo l’apertura della galleria di Serino, lo sbocco al mare. Prima era ricoperto di nocciole e di sciascinoso, entrambi hanno lasciato il passo all’edizilia a valle mentre hanno iniziato ad operare aziende interessanti.
Pietramara etichetta bianca 2010 Fiano di Avellino doc, I Favati |87
Prima vendemmia 2007, l’azienda dei fratelli Piersabino e Giancarlo Favati e di Rosanna Petrozziello è curata da Vincezo Mercurio che dal 2007 ha pensato questa etichetta che ha l’uscita ritardata. Un Fiano di tipo classico, più vicino a quello di Lapio che a quello di Montefredane, piacevole e lungo, di buone prospettive di invecchiamento. La 2010, a nostro giudizio, è la migliore di sempre.
Fiano di Avellino 2010 docg Fratelli Urciuolo 86
Ciro e Antonello, terza generazione di un’azienda sepcializzata della costruzione nell’impianto di pali di castagno, poi la decisione nel 1996 di produrre vino con il supporto dell’enologo Carmine Valentino, all’epoca all’esordio della sua attività. Si tratta di Fiano in puro Valentino style, al naso quasi si ritraggono e regalano profumi solo a chi li cerca, in bocca una beva tranquilla, non cerebrale, di buon equilibrio.
5-Lo stile anni ‘90
Quando si usa questa espressione in genere è per dare una valenza spregiativa. Niente di più sbagliato: quel decennio ha contribuito a pulire la maggioranza del vino italiano e ha risultati che continuano a piacere al consumatore medio. Inoltre, nel caso dei bianchi irpini, parliamo di uve lavorate solo in acciaio coltivate con tanta buona agricoltura alle spalle. Il maggiore esponente di questa scuola è Angelo Valentino di cui vogliamo presentare due campioni.
Fiano di Avellino 2010 docg, Macchialupa |88
Si tratta dell’azienda costruita da Angelo in società con l’imprenditore Giuseppe Ferrara, impegnata ormai nella decima vendemmia. In casa proprio l’enologo può esprimersi al meglio e lo fa spiegandoci sentori evoluti di frutta, note di albicocca soprattutto, un impatto al naso più esuberante ma che si riequilibra ben in bocca dove l’acidità è preservata e contribuisce bene a far bere il Fiano. Un prodotto che mette tutti d’accordo e che non a caso nelle degustazioni coperte a cui partecipano soggetti con diverse sensibilità esce sempre molto bene.
Fiano di Avellino 2010 docg, DonnaChiara
L’azienda della famiglia Petitto è giovanissima: la prima vendemmia è del 2007. La cantina è a Montefalcione ed è circondata dai vigneti di Fiano a circa 350 metri in buona esposizione. Il bianco ha bei profumi di pera non matura e mela, il bocca l’attacco è abbastanza morbido, quasi opulento, poi si dispiega molto mene in lunghezza e chiude secco, senza mediazioni, lasciando il palato ben pulito.
Bechar 2010 Fiano di Avellino docg, Caggiano |84
Un classico degli anni ‘90 che mantiene lo stesso stile: profumi dolci, ingresso abbastanza morbido, alcol, ciccia e, per fortuna, discreta freschezza. La firma bianca di Antonio Caggiano, la cantina che ha cambiato il volto del Taurasi. Un vino autoreferente, molto deciso nello stile e affidabile. La 2010 ci sembra particolarmente riuscita.
7-Outsider
L’areale del Fiano è molto vasto. Chiudiamo segnalandovi i vini di quattro aziende che, per un motivo o per l’altro, possono considerarsi outsider.
Refiano 2010 Fiano di Avellino docg, Tenute del Cavalier Pepe| 84
L’azienda gestita dalla giovanissima Milena Pepe, figlia di emigranti, sta entrando nell’adolescenza dopo i primi annni in cui i computer e le scrivanie convivevano con le vasche di fermentazione e le barrique. Lo stile di questo Fiano è semplice, direi non ambizioso: vinificazione in acciaio, poi il vetro. Uno stile che l’Irpinia ha imposto a se stessa indipendente dalle mode del momento e che adesso consente ai viticoltori di passare all’incasso.
Fiano di Avellino 2010, Tenute Sarno |88
Anche questo Fiano porta la firma di Vincenzo Mercurio.Il padre di Maura, Domenico Sarno, è stato il notaio più conosciuto di Avellino e grazie alla sua attività ha ripreso molte proprietà di Candida, paese di cui è originaria la famiglia, perdute dal nonno dopo la caduta del fascismo. Lei adesso ha recuperato il vigneto e vinifica presso l’azienda San Paolo. Un fiano ricco, pieno di carattere, senza mediazioni piacione: non a caso è piaciuto agli amici dell’Espresso che lo hanno segnalato tra le eccellenze.
Vigna Acquaviva 2010 Fiano di Avellino docg, Montesole |87
Montesole è un’azienda della metà degli anni ‘90 impegnata sostanzialmente nella vinificazione che si è sempre distinta per l’ottimo rapporto tra qualità e prezzo. In cantina il giovane Michele D’Argenio, subentrato a Massimo Di Renzo nel frattempo chiamato alla Mastroberardino. Poche chiacchiere, tanto lavoro. Da un anno la decisione di presentare delle selezioni di uve e questa è particolarmente riuscita, si inserisce nello stile non strillato, con belle note di frutta bianca e di mandorla, in bocca freschezza e dinamicità.
Vitis Apianus 2010 Fiano di Avellino docg, Cantine Astroni |85
Il rapporto tra i vinificatori napoletani e le campagne è antichissimo, risale spesso all’inizio dell’800. Spiazzati dalla rivoluzione degli anni’90, alcuni si sono rimboccati le maniche aggiornandosi in cantina, comprando terreni, facendo studiare enologia ai figli. Così Gerardo Vernazzaro è la quarta generazione della famiglia Varchetta impegnato in una bellissima azienda sul cucuzzolo del vulcano degli Astroni a Napoli. Laureato in Enologia a Triste con il professore Zironi, quest’anno si è cimentato con il Fiano, la prova a cui ogni enologo aspira, giocando su freschezza e profumi classici. Da uve di Lapio (70%) e Montefalcione in un rapporto con i conferitori creato te anni fa.
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