Pet therapy“, “agrinidi“, perfino “master chef rurali“: in un convegno alla Fieragricola di Verona Nomisma fa un quadro involontariamente tragicomico dell’agricoltura italiana. Dove, per poter continuare a chiamarsi agricoltori, bisogna ormai rassegnarsi a fare tutto tranne che il proprio mestiere, cioè coltivare la terra.

Non è la prima volta che la Fieragricola di Verona funge da involontario palcoscenico per le amenità di qualche ricercatore in vena di comicità inconsapevole. Capitò già un paio di anni fa (qui), quando qualcuno predisse che il futuro dell’agricoltura sarebbe stato, bontà sua, nelle mani dell’hobbyfarming: ovvero, fuori dagli eufemismi anglobeceri, del nonno pensionato che fa l’orto. Evviva.
Ma stavolta la fantasia supera la realtà. Perché tocca addirittura a Nomisma (oddio, se si pensa che l’istituto è stato presieduto da Romano Prodi la meraviglia viene un po’ meno, ma insomma…) esporsi alla kermesse veronese presentando oggi una ricerca irta di scoperte copernicane e annunciata con puntigliosi dati statistici.
Già il titolo del comunicato stampa è da incorniciare: “Da agricoltore a rural-chef con la multifunzione. Diversificare spinge il reddito delle aziende”. Il resto è peggio. “In Italia – si legge – sono 108.780 (il 6,5% del totale) le aziende agricole che praticano la multifunzionalità: agriturismi, pet therapy, agrinido, bioenergie e master chef rurali. Dal 2000 al 2010 il valore economico della diversificazione è passato da 5 a 9,8 miliardi di euro, arrivando ad una incidenza del 20% sul totale della produzione agricola. Il fatturato delle attività connesse incide mediamente per il 31% sul reddito complessivo aziendale”.
Avete letto bene: le nostre campagne sopravvivrebbero grazie ai servizi di pet therapy, agrinido e master chef rurali. Ovvero, tradotto, di pensione per animali, custodia di bambini e corsi di cucina. L’agriturismo, perfino. Sai che novità, visto che il fenomeno è nato, asceso e caduto da anni. E noi che ci illudevamo che i milioni di ettari di terreno sull’orlo dell’abbandono sparsi per le colline italiane potessero salvarsi con una politica che rimettesse al centro l’agricoltura vera, quella che produce in un rapporto di qualità e quantità capace di dare reddito, lavoro, stabilità alle aziende, ai lavoratori, al suolo e al paesaggio.
Ma entriamo nel dettaglio della rivelazione: “Praticano la vendita diretta e frequentano i mercati contadini, hanno un agriturismo o producono energia, e ben il 42 per cento di loro pensa che i corsi di cucina siano una leva per potenziare la redditività dell’impresa agricola. È quanto emerge dalla ricerca di Nomisma (su un campione di 1.000 imprese agricole diversificate) sulla «Diversificazione economica in agricoltura: dall’agriturismo all’agrinido», commissionata da Fieragricola e Informatore Agrario e presentata oggi a Veronafiere”, attacca il comunicato.
In Italia sono 108.780 (il 6,5 % del totale) le aziende agricole che praticano la multifunzionalità: agriturismi, pet therapy, agrinido, bioenergie, fornitori di agro-servizi sociali e master chef rurali. Cifre alla mano, dal 2000 al 2010 il valore economico della diversificazione è passato da 5 a 9,8 miliardi di euro, arrivando ad una incidenza del 20% sul totale della produzione lorda vendibile (plv) agricola. Se ad innescare la diversificazione produttiva in agricoltura restano motivazioni economiche (grazie alla multifunzionalità il 58% delle aziende intervistate ha dichiarato di aver aumentato la propria redditività d’impresa), la scintilla per una nuova avventura imprenditoriale in agricoltura scocca grazie ad un’idea del conduttore (per 1 su 4), ma anche per fattori territoriali: il 20% degli intervistati ha scelto infatti di diversificare per la presenza in aree a forte vocazione turistica. Calcolatrice alla mano, il fatturato delle attività connesse – secondo la ricerca di Nomisma – incide mediamente per il 31% sul reddito complessivo aziendale. Reddito che risulta in aumento, in particolare, per le aziende medio-grandi (sia in termini di superficie agricola utilizzabile che di fatturato), localizzate in pianura e nel Centro-Nord, il cui conduttore è di sesso maschile con meno di 40 anni. Rilevante anche la propensione all’investimento multifunzionale: il 61% delle aziende dichiara che nei prossimi 5 anni introdurrà in azienda nuove attività. In pole position, nella graduatoria delle possibili attività da inserire, i corsi di cucina per promuovere prodotti e tradizioni locali (42%). Ma l’azienda agricola mette nel mirino anche altre opportunità. Il 10% del campione ritiene che possa avere successo l’agri-trekking, i percorsi guidati fra i campi e i boschi, così come la raccolta collettiva dei prodotti agricoli (stessa percentuale). Ma c’è anche chi scommette sul welfare e sul ruolo delle fattorie «sociali», che rappresentano ad oggi una realtà di circa 3mila imprese su tutto il territorio nazionale. Le due «i» dello sviluppo: internet & international exhibition. Elevato anche il grado di informatizzazione delle aziende multifunzionali. Il 61% infatti utilizza il sito internet per promuovere le attività diverse da quelle agricole e il 51% dispone di un marchio aziendale per la vendita dei propri prodotti. Alta la percezione di utilità delle fiere: il 70% degli intervistati le ritiene infatti strategiche per lo sviluppo delle attività connesse. Una percentuale che si alza al 74% se si considerano le fiere come «luoghi» per trovare prodotti e attrezzature adeguati all’implementazione di attività diverse da quella agricola. Dalla ricerca di Nomisma emerge che il 61% delle aziende dichiara che nei prossimi cinque anni introdurrà in azienda nuove attività. In pole position, fra i progetti più gettonati quelli appunto legati ai corsi di cucina (45%), per promuovere prodotti locali e territorio. Significativo il peso della burocrazia, che per la metà del campione rappresenta un ostacolo all’investimento, ancora più gravoso del reperimento delle risorse finanziarie necessarie (20%)”.
Sintesi del concetto. Dimenticata da decenni e relegata ad interesse economico marginale, l’agricoltura italiana è sopravvissuta solo grazie alla miracolosa capacità di arrangiarsi e di adattarsi degli agricoltori, disposti ad anteporre il loro attaccamento alla terra a qualsiasi sacrificio. Per dare una verniciata di rispettabilità a questa forma di necessità trasformata in virtù, si sono fatte due cose: gli si è data una liceità formale, rendendo possibile per legge ciò che prima lo era solo per buon senso (ad esempio dare ospitalità o servizi occasionali) e, soprattutto, si è battezzato il fenomeno con il nome roboante e futuribile di multifunzionalità. “Capperi – ha pensato così il contadino multitasking, dimenticandosi per un attimo delle cambiali e dei campi che languono – ora posso dirmi multifunzionale anch’io”.
Lo stratagemma è servito per qualche anno non certo a guarire la malattia, ma a nasconderne i sintomi, per cui il malato è peggiorato senza accorgersene.
Pian piano, nella necessità di fare cassa e pur di potersi illudere di fare ancora gli agricoltori, la gente di campagna ha così accettato di svolgere attività sostanzialmente sempre più diverse da quella naturale, ma sempre più decisive per salvare il bilancio: albergatori, meccanici, baby sitter, animatori, cuochi. C’è chi pur di campare è arrivato a scimmiottare se stesso, recitando la parte del villico coreografico che tanto piace a quelli di città.
E quando anche tutto questo, avendo assolto alla sua funzione di toppa, è ormai giunto al tramonto e per l’agricoltura – con la complicità degli eurocrati di Bruxelles e con la loro Pac-pecetta – torna ad affacciarsi lo spettro di un tracollo generalizzato, ecco arrivare Nomisma a dirci che il miglior presente è il passato prossimo.
Visto il clima di questi giorni, è proprio il caso di dire che nevica sul bagnato.
Ah, dimenticavo: nel frattempo, quelle che noi primitivi chiamavamo passeggiate sono diventati agri-trekking, cioè “percorsi guidati tra campi e boschi”. Perdinci, questo sì che è progresso.