Colonna sonora: “Vengo anch’io (no, tu no)“, Enzo Jannacci.

Stamattina alle 6 è stato vergato il certificato di morte del giornalismo italiano. Pardon, il nuovo ccnl della categoria. Muore la figura professionale, nasce quella del giornalista-hobbista. Ce la siamo voluta, ora è inutile piangere il caro estinto.

Con buona pace della minaccia di fiaccolate, petizioni, indignazioni e nonostante distinguo e tatticismi degni del miglior teatrino, la giunta dell’Fnsi – cioè quello strano e autocratico soggetto che associa meno della metà dei giornalisti italiani e che in questo momento ha il consenso di manco un terzo di loro – ha approvato la cosiddetta “parte normativa” del nuovo ccnl dei giornalisti.
Chi volesse conoscere il dettaglio dei patetici equilibrismi con cui si è giunti a questo risultato (la votazione si è conclusa con 8 voti favorevoli, 3 contrari e 3 astenuti, insomma un plebiscito) guardi qui: io non ho lo stomaco di raccontarlo.
Gli altri, invece, riflettano un attimo.
L’operaizzazione del lavoro giornalistico, cioè la trasformazione del giornalista professionale in un manovale della notizia (e come tale sempre facilmente fungibile con altri portatori di forza informativa bruta, purchè di minori pretese) era in atto da tempo ed anzi aveva già concluso la sua parabola evolutiva.
Il secondo passo del cammino, anch’esso compiuto, era rappresentato dalla dilettantizzazione della categoria medesima, cioè dalla sua trasformazione da insieme di persone che lavorano per vivere, e quindi ricavano dal proprio lavoro il reddito per campare, a insieme di persone che vivono per lavorare. In sostanza, che coltivano un hobby e lo camuffano da lavoro con la scusa della “passione”. Una condizione dettata dai fatti e non da chissà quale pregiudizio mio o altrui: ma se con i miei articoli guadagno 20 euro al giorno vuol dire che mi mantengono, oppure che faccio un altro lavoro “vero”, oppure che campo d’aria. Fate vobis.
Il terzo e conclusivo passaggio era invece, fino ad oggi, ancora in itinere. Uno step indispensabile, però, affinchè il cerchio della deprofessionalizzazione si chiudesse. E, con esso, si chiudesse la grande ipocrisia collettiva che dava a qualsiasi dilettante (grazie alla complicità del giornalistificio ordinistico) la patacca di giornalista. Insomma mancava la formalizzazione dello stato di fatto. Ora c’è: le vittime hanno addirittura sottoscritto la propria condanna, che vuoi di più legittimo?
Con diabolica astuzia, l’Fnsi è riuscita quindi a portare a casa non solo quest’obbiettivo, ma due grandi, ulteriori risultati. Strike!
Risultato 1: approvato un contratto che sancisce la precarizzazione della categoria, a corrispettivi tanto ridicoli da coincidere con la dilettantizzazione.
Risultato 2: tenuto a battesimo un nuovo genus di giornalista, il giornalista-coglione, socio ideale di un sindacato bisognoso come l’aria di un corpo sociale pletorico (e quindi “massa”), sprovveduto e di bocca buona, a cui dare ogni tanto qualche parvenza di tutela-nocciolina.
Risultato 3: affossato definitivamente il manipolo dei reduci di una professionalità dettata dalla necessità del pane quotidiano, più che dall’idealismo, che fungevano da coscienza critica e cointeressata della categoria.
Primo caso della storia, al funerale del giornalismo italiano si preannuncia quindi una folla di becchini più numerosa della gente al seguito.
Fra i primi spiccano: l’Fnsi al completo (giunta, consiglio, assostampa regionali e tutta la galassia di enti inutili, clan in testa, responsabili di essere rimasti fideisticamente attaccati, per motivi oscuri o forse non tanto oscuri, a un soggetto indifendibile e ostile agli intessi della categoria che pretendeva di rappresentare), l‘OdG e le sue articolazioni locali (responsabili di aver creato e alimentato il giornalistificio, ovvero la creazione artificiosa di giornalisti tali sulla carta, ma privi di capacità professionale e reddituale, quindi giocoforza anche incapaci di discernere tra i bisogni veri e quelli finti della categoria alla quale si trovano, per caso, ascritti), parecchie migliaia di bravi ragazzi dalle idee confuse e dal poco mestiere, responsabili di essersi fatti manipolare dalla dialettica, di aver creduto troppo a lungo a promesse palesemente false e di non aver dato ascolto a chi, avendo più esperienza, cercava di aprire loro gli occhi finchè erano in tempo.
Amen.