Oggi hanno presentato, come annunciato, il Rapporto Ldsi sullo stato del giornalismo (aggiornato ai dati 2015) in Italia. Lo cura da sempre Pino Rea, fondatore e presidente dell’associazione Libertà di Stampa – Diritto all’informazione.
Le premesse non erano buone e si sapeva.
La lettura dell’intero rapporto (per l’intero cliccare qui) conferma le previsioni.
Il mio commento sui dati salienti l’avevo già proposto qui giorni fa e non ci torno sopra.
Ce n’è però un altro che è altrettanto importante, ma rischia di restare in secondo piano rispetto alle solite e inevitabili geremiadi che il rapporto solleva: si è fermata infatti la crescita del numero totale degli iscritti all’Odg che, ininterrottamente, cresceva da almeno un quindicennio. Da 105.634 si è passati a 105.076.
Il decremento è minimo (-0,5%), d’accordo, ma è l’inversione di tendenza che conta.
Anche e soprattutto perchè sono i pubblicisti che arretrano, passando dal 72,4% al 71,4% del totale.
Insomma, il giornalistificio che per tre lustri ha insufflato colleghi nella professione si è fermato?
Non ne sarei così sicuro.
A mio modesto parere, nella professione, più che arrestarsi l’incremento demografico è aumentata la mortalità professionale: un sacco di “vecchi”, o disillusi, o disoccupati, o stufi pubblicisti ha deciso di appendere la penna al chiodo.
Se ciò sia un bene o un male, non lo so.
La categoria resta pletorica e piena di giornalisti di nome che di fatto non lo sono.
Mi sembra però incontestabile una cosa: se i dati saranno confermati nei prossimi anni, potremo affermare che il giornalismo italiano, da minacciosa onda anomala e fuori controllo, si è trasformato in una palude stagnante.
Non so cosa sia meglio.