di ROBERTO GIULIANI
Barbera d’Asti Vigne Vecchie 50° Vinchio Vaglio: solo cemento e acciaio per un vino che unisce le virtù del passato con quelle dell’enologia moderna, mettendo d’accordo tutti.
Sessantaquattro anni fa nasceva la cooperativa, frutto degli sforzi di 19 “pionieri” di due piccoli comuni dell’Alto Monferrato, in provincia di Asti: Vinchio (Vinch o Vens o Vèins in piemontese) e Vaglio Serra (Vaj), collocati fra la Val Tiglione e la Valle Belbo e così vicini tra loro da poter essere raggiunti a piedi (quattro chilometri).
Sforzi veri, perché le rivalità non mancavano, per questo la cooperativa è nata per tentare di porvi fine, unendo più viticoltori possibili di ambo le parti, per raggiungere l’obiettivo comune di produrre vino di qualità e dare più regolarità economica.
Oggi la Vinchio Vaglio conta su quasi 200 soci ed oltre 400 ettari vitati, nei quali il vitigno principale è la Barbera. Gran parte delle vigne si trova proprio intorno ai due comuni fondanti, la restante in quelli limitrofi di Castelnuovo Belbo, Castelnuovo Calcea, Cortiglione, Incisa Scapaccino, Mombercelli e Nizza Monferrato.
Non di rado si tratta di appezzamenti impervi, con forti pendenze, che rendono il lavoro tutt’altro che facile.
I terreni intorno ai due comuni sono differenti, a Vinchio sono argilloso-calcarei, più sabbiosi nella parte occidentale, mentre nel versante sud di Vaglio Serra che guarda a Nizza Monferrato, sono molto argillosi con venature di terra rossa.
Per farvi capire quanto la qualità sia ricercata, le rese per pianta vanno da 1,5 a 2 kg e non so quante altre cantine sociali producano in modo così contenuto. Inoltre la cooperativa adotta un’agricoltura sostenibile: impianti fotovoltaici, riciclaggio e selezione dei rifiuti, implementazione di aree verdi, riqualificazione dei percorsi all’interno della Val Sarmassa.
La Barbera d’Asti Vigne Vecchie 50° 2020 è nata in occasione del raggiungimento del mezzo secolo della cantina (1959-2009): esiste già infatti una Barbera Vigne Vecchie, ma è Superiore e affinata in barrique (tranquilli, l’enologo Giuliano Noè sa il fatto suo con i piccoli legni), mentre questa ha visto solo acciaio e cemento.
Ammetto che è la versione di Barbera che continuo a preferire, pur riconoscendo gli sforzi fatti nell’Astigiano per “elevarla” a qualcosa di più complesso e profondo. Del resto è giusto così, se il vino italiano non mantenesse viva la sperimentazione e il rinnovamento, perderebbe sicuramente grosse fette di mercato.
Già nel calice è evidente che il colore rubino vivo non è carico, concentrato, ma mantiene una bella luminosità, il ventaglio di profumi punta soprattutto ad esaltare il frutto, ricorda proprio la classica Barbera di un tempo, diretta, succosa, con acidità vibrante, ma con in più un livello tecnico e una conoscenza che consentono di esaltarne tutte le caratteristiche al meglio.
Tanta ciliegia, ma anche cenni di mora e marasca, poi erbe aromatiche, una punta di pepe; il sorso rivela una trama dove l’acidità è elemento portante, il frutto è maturo al punto giusto, non manca di spinta sapida, si beve con gran piacere nonostante la gradazione sia di ben 14,5% vol., ma bevuta a 15 gradi non te ne accorgi proprio. Il prezzo poi è decisamente invitante, tra i 12 e i 13 euro…
Pubblicato in contemporanea su