di ROBERTO GIULIANI
E’ uno dei cru aziendali di Giacomo Fenocchio a Monforte d’Alba che, con l’enologo Emiliano Falsini, da sempre sperimenta scavando nella tradizione. Ecco l’annata 2016, un vino tutto da aspettare. Se ci si riesce.

 

Chi conosce Claudio Fenocchio sa bene che la sua azienda di Monforte d’Alba è sempre stata annoverata fra quelle fortemente legate alla tradizione. Questo fatto, però, non significa staticità, mancanza di visione, resistenza a qualsiasi cambiamento, che anzi ha sempre cercato di migliorarsi e ha trovato un eccellente “consigliere” nell’enologo Emiliano Falsini, con il quale ha portato avanti un lavoro profondo di ricerca. Questa sperimentazione ha condotto ad esempio al fantastico Barolo 90 Dì (dal numero dei giorni in cui il Nebbiolo è rimasto a macerare con le bucce), frutto di anni di prove con lo scopo di ottenere la migliore estrazione possibile, senza componenti indesiderate, per un grande vino che ha rimpiazzato il Barolo Riserva.
L’arrivo di questo cavallo di razza non deve farci però dimenticare l’importanza dei quattro cru aziendali: Bussia, Villero, Cannubi e Castellero.
Oggi ho scelto di raccontarvi del Barolo Bussia 2016, figlio di un’annata che è già stata considerata fra le migliori del terzo millennio, di quelle che saresti disposto a pagare oro per averne almeno una così ogni 4-5 anni. È andata alla grande un po’ in tutta la Langa, regalando un clima quasi sempre equilibrato, senza picchi caldi o freddi, piogge giuste nei momenti giusti, vendemmia perfetta, con un’unica interruzione piovosa il 14 e 15 ottobre, ma senza conseguenze per la raccolta, che è ripresa subito nei giorni seguenti.
Bussia è sicuramente la Menzione Geografica Aggiuntiva (MGA) più nota e desiderata, ma anche la più ampia ed eterogenea, i vigneti di proprietà di Fenocchio sono distribuiti nelle sottozone Munie e Sottana per un totale di circa 5 ettari. Il vino subisce una macerazione di 40 giorni e sosta per 30 mesi in botti di rovere di Slavonia da 35 a 50 ettolitri.
Il colore granata caldo è già un chiaro segnale dello stile rispettoso di Claudio; quando si ha a che fare con un Barolo, una volta versato nel calice, la fretta va accantonata, non ha alcun senso guardare l’orologio, tanto più il vino è grande, tanto più si aprirà con il passare dei minuti.
Non si fatica comunque a percepire nei primi istanti un netto profumo di rosa e liquirizia, seguito da ciliegia matura, emergono spezie dolci e la sensazione generale è di una bella maturità, si coglie anche una curiosa sfumatura di lavanda, poi mentolo, terra umida e sottobosco.
Al palato mostra tutto il suo carattere, tannino ben presente ma di grana finissima che si integra subito nella trama fruttata e speziata, si arricchisce poi di riflessi pepati; colpisce per l’ottima freschezza e per una notevole profondità nonostante la sua giovane età. Bevetene almeno una bottiglia ora, poi mettetelo in cantina senza paura di possibili cedimenti per un decennio, se avete tutta ‘sta pazienza di aspettare…

 

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