In un volume di Bruno Casini l’epopea a più voci del locale-simbolo che ha traghettato la città dalle balere all’underground, dal beat al progressive, dalla sperimentazione alla disco. Tra sogni, ingenuità, viaggi di ogni tipo, aneddoti ed eventi epocali.

Di solito mi tengo alla larga dai volumi celebrativi.
Non per snobismo ma, al contrario, perchè so di essere tutt’altro che immune alla sindrome della nostalgia, che ti induce ad esaltare il buono e a edulcorare il meno buono del passato. Fenomeno comune ma particolamente insidioso quando fa riferimento a periodi parecchio movimentati e quindi il rischio di travisamenti postumi è più alto.
Ad esempio gli anni ’70. Decennio cruciale sotto molti aspetti. E siccome i ricordi spesso si condensano attorno a quelli che allora si chiamavano i luoghi di aggregazione (giovanile, è sottinteso), trasformare questi ultimi in fulcro di qualsiasi epopea diventa talvolta inevitabile.
In tal senso, a Firenze lo Space Electronic fu ed è (infatti esiste ancora) certamente uno di questi.
Con tutte le contraddizioni che un locale come quello poteva portarsi dietro. A cominciare dall’ubicazione: niente periferie, niente capannoni, niente darkness on the edge of town, ma il più profondo centro storico e turistico del capoluogo toscano, tra la stazione e il lungarno. Come se il Melkweg di Amsterdam si trovasse appresso ai giardini della regina Beatrice.
Mi sono dunque avvicinato con qualche cautela al libro che Bruno Casini, giornalista e animatore culturale fiorentino, ha pubblicato per l’editrice Zona (“Ribelli nello spazio: culture underground anni settanta – lo Space electronic a Firenze“, 203 pagine, 16 euro), temendo il solito come eravamo a cavalcioni tra i ricordi e le oleografie di “anni formidabili”.
Ogni diffidenza però è caduta presto, perchè il volume si è rivelato tutto fuorchè quello che minacciava di essere.
Risultando invece un lavoro che, senza eccessivi autocompiacimenti, appare giocosamente scritto di getto, con levità, senza troppa attenzione alla consecuzione delle date e dei tempi, ma procedendo piuttosto a flashback, seguendo il filo degli eventi, delle atmosfere, delle scorribande. Riaffiorano così, tra le considerazioni personali dell’autore e quelle generali sul periodo, immagini dal sapore oggi quasi surreale: i capelloni che bighellonano sul Ponte Vecchio, i bus verdi che scatarrano gas di scarico in piazza del Duomo, i cortei con le bandiere rosse che scaturiscono dal nulla in quella specie di punto di raccolta non dichiarato che era piazza San Marco, in pieno centro anch’essa.
E’ in simile contesto, sospeso tra le turbolenze studentesche e la sonnacchiosa (almeno secondo il parere dei giovani di allora) atmosfera provinciale della Firenze del post-alluvione, che nel 1968 nasce appunto l’idea dello Space Electronic: ovvero l’idea di una “discoteca“. Discoteca in un’accezione, però, all’epoca sconosciuta (e forse tornata sconosciuta oggi), di luogo dove non solo si balla, ma si suona musica sperimentale, rock e d’avanguardia, si proiettano film e video, ci si ritrova, si fanno concerti. E ogni cosa, arredi compresi, adempie a una sorta di funzione creativa (mitici i cestelli da lavatrice trasformati in poltrone), in bilico tra l’intrattenimento e la “coscienza“. Una sorta di happening permanente concepito anche sulla base di un’idea architettonica ed estetica ben precisa, se è vero che alcuni dei fondatori erano per l’appunto giovani laureati o laureandi architetti, tornati folgorati (e non poco) dall’atmosfera respirata dell’Electric Circus di St Marks Place, a New York.
Il progetto si realizza nel 1969, con l’inaugurazione del 27 febbraio, e tra alterne vicende prosegue fino ad oggi.
Ecco, di tutto ciò Bruno Casini racconta agilmente e con grande ricchezza di informazioni, dividendo il libro in due parti. Una prima, quella appunto riservata ai suoi ricordi personali, che ripercorre a volo d’uccello i fatti e le atmosfere degli anni d’oro dello “Space” (1969-1975), e una seconda dove invece la parola passa ai diretti protagonisti di quella stagione, con una lunga serie di interviste e di contributi diretti degli “inventori” del locale, i musicisti che vi suonarono (come Franco Falsini dei Sensation’s Fix), i dj e alcuni frequentatori storici. Con le movimentate cronache di quando gli emozionatissimi gruppi fiorentini incrociavano i manici delle chitarre con gli Audience, gli Atomic Rooster, gli Hawkwind, Rory Gallagher, Brian Auger, Van der Graaf Generator, Canned Heat. Mica pizza e fichi.