Si può anche discutere, come fa il presidente del sindacato cronisti romani, Romano Bartoloni, sul futuro dell’OdG o sulla possibilità che l’Fnsi ne prenda, mutatis mutandis, il posto. Ma confondere ancora i freelance con tutta la galassia degli autonomi non è più accettabile.

Dopo averlo letto su FB avevo giurato a me stesso di lasciar correre.
In tempi di campagna elettorale e di generale sbandamento della categoria, pensavo, la gente perde i freni inibitori e il vaniloquio, più o meno propagandistico, prende il sopravvento sulla ragione. La quale, anzichè assopirsi, collassa proprio. Generando i mostri che conosciamo.
Ma dopo pochi giorni vedo riapparire (qui) la questione sul sito di Franco Abruzzo.
E siccome anche la mia pazienza ha un limite, eccomi qua.
Non conosco di persona Romano Bartoloni, presidente del sindacato cronisti romani, nè ho motivo di avere di lui una cattiva opinione.
Bartoloni fa un ragionamento generale sulla deriva della categoria e sui rischi di diaspora professionale dei giornalisti italiani connessa alle ipotesi di abolizione dell’Ordine, sulla potenziale migrazione di una parte degli iscritti, via associazioni tra professionisti, dall’albo agli istituendi elenchi delle cd “professioni non regolamentate” e su una “sanatoria” da poco varata (il ricongiungimento prof/pubbl) che in effetti pare una toppa peggiore del buco.
Il discorso, sebbene molto unions-oriented, ha a mio parere anche alcuni punti di forza.
Le cose sconcertanti sono altre.
La prima è preconizzare l’ascesa dell’Fnsi a succedaneo dell’OdG per una teoricamente possibile, ma realisticamente assai poco concretizzabile, via di “associazione professionale” ex L. 4/2013. Ma fin qui, passi: è un’opinione come tante.
La seconda già più marcata stranezza è l’affermazione che “…la coesione e la solidarietà sindacale della categoria finora, nel bene e nel male, ci hanno salvato…già oggi la FNSI difende gli interessi di professionisti e pubblicisti a tempo pieno, riconoscendo a loro la comune identità di giornalisti professionali“. Ora, calma. Do atto all’Fnsi di aver da tempo sancito in statuto una saggia scansione degli associati tra chi lo fa per mestiere (cioè ci campa) e chi per diletto o dopolavoro. Ma da qui ad acclamare la “coesione e la solidarietà” federale e a dire che la Federazione “difende gli interessi di professionisti e pubblicisti a tempo pieno”, ce ne corre: sia perchè non è vero, come tutti sanno, sia perchè, anche se lo facesse, il sindacato rimane comunque rappresentativo di una risicata e nel caso degli autonomi risicatissima minoranza dei colleghi. Chiedere, per informazioni, ai diretti interessati: ovvero autonomi e freelance.
La terza e più stupefacente sono tuttavia l’uso disinvolto (e tipicamente sindacale) che Bartoloni fa proprio del termine “freelance” e l’idea vaga che egli dimostra di avere del significato della parola stessa. Non si spiega altrimenti come egli possa parlare oggi “di un mercato (editoriale) asfittico e a misura solo dei frelance” (dei freelance?!?) e di “freelance ai quali si offrono migliori prospettive di occupazione“. Prego? Ai freelance?
Insomma, la solita e sconfortante sensazione è che anche Bartoloni continui a essere preda dell’antico abbaglio sindacale che porta i federali a confondere il variegato mondo dei non contrattualizzati coi freelance. I quali invece (vedasi qui) sono una sottocategoria specifica, la quale spesso non ha nulla a che spartire con le altre branche degli “autonomi” (per i quali comunque, sottolineo, non intravedo alcuno dei favori di cui parla il collega).
Usare quindi il termine “freelance” per indicare l’intera galassia di chi ruota fuori e dentro le redazioni senza un contratto di lavoro subordinato non è solo errato, è mistificante.
Non paia un errore veniale: è invece un grave sbaglio concettuale.
E perpetuarlo non aiuta nè i contrattualizzati, nè gli altri. Iscritti che siano o meno all’Fnsi.