Sorprendendo gli stessi organizzatori ieri sera ad Asciano, nel cuore delle Crete Senesi, si sono ritrovati oltre duecento arrabbiatissimi agricoltori provenienti da mezza Toscana e dall’Umbria. Scopo: riunirsi e discutere senza condizionamenti esterni della spirale che sta inghiottendo il comparto. Le organizzazioni tenute volutamente fuori dalla porta. Tra urla, battute e scontri verbali si sono gettate le basi per quella che, analogamente a quanto sta accadendo in altre parti d’Italia, potrebbe essere la nascita dei comitati di base dell’agricoltura. O forse solo una chiacchierata da bar.

Cose mai viste ieri sera ad Asciano, profonda campagna senese. Agricoltori che arrivavano a frotte, dieci, cinquanta, cento, duecento. Tanti da rendere necessario cercare una sala più grande. Tutto grazie al passaparola e a una rabbia che confina ormai da vicino con la disperazione. Stupefatti gli organizzatori e, più di loro, i rappresentanti delle organizzazioni agricole che, tenute volutamente fuori dalla porta, si sono “infiltrate” grazie alla presenza di loro dirigenti comparsi a titolo personale. Mai registrata una tale partecipazione da parte di una categoria restia a farsi intruppare, ad unirsi, a lasciare le fattorie.
E invece. Invece più della timidezza potè il bisogno. Il bisogno di tutti: cerealicoltori, olivicoltori, allevatori. Grandi proprietari e piccoli coltivatori, coldiretti e confagricoli, monaci e mangiapreti. Smarrimento tanto, idee a volte confuse, rancore distribuito in ordine sparso contro sindacati, governo, ministri, Ue. Sopra ogni cosa, la prospettiva di chiudere. Di mollare, di abbandonare i terreni per l’impossibilità economica di ricavarne un reddito. Prospettiva impensabile per un contadino. Fino a ieri, almeno.

Su tutto, dunque, una domanda: che fare? Come far sentire la nostra voce? In che modo protestare, farsi valere? C’è quello che vorrebbe scaricare sulla Cassia, all’altezza di Montalcino, tonnellate di grano invenduto e invendibile, visto che il prezzo naviga attorno ai 12 euro al quintale, ovvero la metà del break event point (ma nessuno, è ovvio, ha pronunciato questo termine). C’è quello che “vorrebbe prendere la vanga che è sullo stemma della Coldiretti e spaccarla sul groppone dei dirigenti”. C’è chi cerca di buttare acqua sul fuoco e fa appello all’unità degli agricoltori e chi, viceversa, vorrebbe che ogni sottosettore procedesse per conto proprio.

Ma è il malcontento a ricompattare tutti. Sale l’invito a organizzare incontri analoghi in ogni parte d’Italia, come sta accadendo già a Grosseto, Pisa, Perugia. Applausi. Slogan. Comincia a serpeggiare una parola: cobas. Comitati di base. L’assemblea si scioglie, si radunano i capannelli. Uscendo, i dirigenti delle tre confederazioni borbottano, richiamano gli associati all’ordine, si interrogano ancora sul perchè di simili numeri venuti fuori dal nulla della campagna più sperduta. Qualcuno complotta, altri ci bevono sopra. Se siano le avvisaglie di una rivoluzione o semplici chiacchiere da bar è ancora da chiarire. Ma una cosa è certa. Anzi due: la misura è colma e il sasso nello stagno è stato lanciato.