Un attore-pubblicista (o viceversa?), alla radio, si spaccia per la Hack e prende in giro il “saggio” Valerio Onida. Brillante giornalismo, infrazione deontologica o solo la riprova che non si possono tenere i piedi in due scarpe professionali contemporaneamente?

Altro che teatro dell’arte.
Per sbellicarsi dalle risate e ritrovare il buon umore (oppure suicidarsi per mancanza di prospettive), a qualunque depresso operatore dell’informazione basta andare su internet e leggersi i surreali carteggi sollevati tra colleghi sul caso Merkù, il pubblicista-attore (o attore-pubblicista?) che giorni fa, alla Zanzara di Radio 24, si è fatto beffe del “saggio” Valerio Onida spacciandosi nientepopodimento che per l’astrofisica Margherita Hack.
Ne è nato un putiferio che ha spaccato gli addetti ai lavori tra innocentisti e colpevolisti.
Due le scuole di pensiero: secondo l’una, il giornalista doveva fare il giornalista e non mettersi i panni dell’attore, visto che partecipava, e lo sapeva benissimo, a una trasmissione giornalistica; secondo l’altra, essendo egli anche attore, si è invece comportato semplicemente da tale e quindi nulla ci sarebbe da eccepirgli in termini di mancato rispetto della deontologia professionale, sebbene la mancanza di trasparenza e di correttezza messe con ogni evidenza in campo nella circostanza possano essere ordinisticamente sanzionabili.
Da un punto di vista dialettico, tutte e due le opinioni hanno buoni argomenti. Per economia di spazio e di tempo, non sto qui a riassumerli e vi rimando ai diversi interventi reperibili in rete, ad esempio qui e qui.
Mi limito solo a dire che l’episodio è l’ennesimo sintomo di un male che ci porterà tutti professionalmente alla morte. E l’ennesima dimostrazione dell’esistenza di un sempre più grande “buco” del sistema dentro al quale, nel protrarsi di una malfidata distrazione collettiva, sta cadendo l’intero sistema dell’informazione e la categoria demandata dalla legge a produrla. Cioè i giornalisti.
Perchè, scendendo dalla teoria alla pratica, la questione sarebbe semplice, quasi lapalissiana.
Si può infatti benissimo (giusto o sbagliato che sia, la nostra legge lo consente) essere giornalisti e anche qualcos’altro: idraulici, attori, geometri, impiegati, commercianti. Quello che invece non si può – nè in base alla morale generale, nè in base alla deontologia professionale – è essere contemporaneamente le due cose. Switchandosi cioè, passatemi il termine, dall’una all’altra fisionomia secondo la convenienza del momento, mentre ci si trova nella medesima circostanza.
In pratica il Merkù (che tra l’altro è pure consigliere nazionale dell’OdG e quindi certe norme, anche non scritte, oltre a saperle dovrebbe “percepirle” o intuirle bene) avrebbe dovuto a mio parere decidere bene prima, e altrettanto chiarirsi coi responsabili, se partecipare alla trasmissione in qualità di attore, quindi recitando, oppure in qualità di giornalista, attenendosi in questo caso ai canoni comportamentali prescritti per gli appartenenti al relativo Ordine.
Con disinvoltura tutt’altro che isolata, invece, lui ha fatto furbescamente il pendolo tra le due cose, rendendo così un pessimo servizio sia all’informazione che alla nostra categoria. La quale di ciarlatani, sedicenti, simulanti e attori non confessi è già piena.
E’ il caso ad esempio, da me più volte invocato nel permanente silenzio tombale di Ordine e colleghi, dei cosiddetti “blogger“, cioè utenti dello strumento-blog (il termine blogger non ha alcun significato diverso da questo). Molti dei quali, nel nome di una presunta “democrazia”, non solo da un lato si pretendono operatori dell’informazione e ne rivendicano prestigio e diritti, ma dall’altro rifiutano i contrappesi etici corrispondenti a questo status, cioè l’obbligo di una terzietà indagabile e sanzionabile, e non solo vuotamente autoasseverata, nonchè il divieto di conflitto di interessi (ad esempio la commistione tra informazione e pubblicità, con relative tariffe). Ma presso l’opinione pubblica continuano, nell’abile giochino, a guadagnare credibilità e spesso mal riposta fiducia.
Tutte cose macroscopiche di cui al teatrino del giornalismo si finge di non accorgersi, ma al contempo si vagheggia di ricongiungere in un’unica qualifica, ad esempio, giornalisti e attori.
Già, perchè quando verrà il momento, la comparsata radiofonica di Markù e le probabili decine di casi simili, ma meno noti, verranno autoasseverati dai diretti interessati come prestazioni giornalistiche o teatrali?