Dvedla. Slovenia? No, Romagna. I trittico dei tre comuni romagnoli a guida con partecipazione leghista, dove il nome dei paesi riportato in italiano e in dialetto, accoglie i pellegrini artusiani: Castrocaro, Dovadola, Rocca San Casciano. Ma mentre il Muraglione si profila, lo spirito non cambia. E’ solo la Toscana che si avvicina.

Ormai è provato: parlare dell’ordine e del sindacato dei giornalisti mette le ali ai piedi. O meglio: fa talmente incazzare che i chilometri volano. Ne scaturisce un’impresa podisitica leggendaria: 24 km divorati in 29mila passi e in 4 ore e mezzo di cammino, a 5,6 kmh di media (così ci rivela l’ipod 4 del prode Marco Peroni, ma non chiedetemi come fa)! E così il sottoscritto e il collega Andrea Gabbrielli, partito da Roma alle 5 di stamattina per raggiungere noi pellegrini per una giornata-spot di scarpinata, sospinti dall’ira funesta per il presente della categoria (del futuro – ne conveniamo – non è neppure il caso di parlare), abbiamo tagliato per primi, assieme ad altri tre valorosi, il traguardo di Portico di Romagna, delizioso paesino rimasto fino al 1923 in provincia di Firenze. Alle falde, come si usa dire, del leggendario Passo del Muraglione, la cima Coppi della spedizione, che affronteremo domani a quota 900 e passa metri slm.
Tra le cose divertenti incontrate durante il tragitto odierno, i cartelli con il nome dei paesi in dialetto (vedi foto d’apertura). Una novità portata dalle giunte a componente leghista nei tre comuni romagnoli (Castrocaro, Dovadola e Rocca San Casciano) sottratti alle ultime amministrative alla tradizionale roccaforte rossa.
Cartelli a parte, a Dovadola, oltre a organizzare la sagra del locale tartufo bianco, si stanno impegnando per restaurare la grande fortezza trecentesca eretta dai conti Guidi e acquistata una ventina d’anni fa dal comune. Il nome del borgo, meno di duemila anime, ci spiegano derivare dai due guadi, uno a monte e uno a valle dell’abitato. Appena fuori, sei fraticelli abitano, a Montepaolo, l’eremo di Sant’Antonio, dove nel 1220 il santo padovano soggiornò per alcuni mesi.
Il gruppo esce indenne da Dovadola e comincia ad affrontare le prime salite, sgranandosi ma non perdendosi.
Altri 8 km di cammino ed eccoci a Rocca San Casciano, già capoluogo giudiziario mediceo lambito dal fiume Montone. Ci accolgono con salami, conserve, vino, succhi d’uva e formaggio eccellente. Mossa ottima, che ci dispone bene verso la già bellissima piazza seicentesca del paese, restaurata con gusto e pavimentata con il cotto a coltello, acquisendo così un vago sapore senese.
Un ultimo balzo (quello dedicato appunto all’Fnsi, un vero doping podistico/dialettico) ed eccoci a Portico di Romagna. Il luogo è delizioso. Alloggiamo all’Vecchio Convento, un albergo a gestione familiare che mi dà la sensazione – rara e confortante – di essere un vero viandante. Cioè nè un turista frettoloso, nè un commesso viaggiatore rassegnato. Le camere sembrano quelle della nonna: i mobili di una volta, il vecchio cotto per terra, i letti di ferro alti e larghi. Bell’atmosfera, senza fronzoli. A cena (artusiana, va da sè) pare che qui saremo una cinquantina. Bene. Morale alto, motteggio vivace, gamba tutto sommato tonica.
Domani però sarà una faticaccia. 28 km, di cui 20 in salita. Come dice Marty Feldman in “Frankenstein junior“, potrebbe essere peggio: potrebbe piovere. Infatti è esattamente ciò che dicono anche le previsioni
Intanto alla mia finestra al terzo piano affiorano gli schiamazzi e le battute finestra del gruppo giù in strada, guidate dal solito Macchi. Della serie: anche se fosse bello, farebbe piovere comunque.