Pieno successo dell’operazione-cloroformio escogitata dalla solita cricca (governo, editori e indovinate chi altro) per narcotizzare l’opinione pubblica su una questione che accendeva gli animi dei giornalisti e che ora invece rischia di affogare in un oceano di noia e di già visto.
Altro che Baffone e la sua teoria che la calunnia, ripetuta a oltranza, diventa una mezza verità o anche una verità intera.
Qui siamo di un altro passo. Altra merce. Una tecnica opposta per otterere il risultato medesimo: ti sommergo, ti saturo, ti ossessiono a tal punto con novità (sempre impalpabili e interlocutorie, va da sè) su una certa questione, da fartela venire a noia.
E da spingerti, per evitare la nausea o il colpo di sonno, a scansarla accuratamente ogni volta che ti imbatti in qualcosa che la riguarda.
Insomma: invece di combatterti, ti cauterizzo.
E’ la storia penelopesca del cosiddetto equo compenso del lavoro giornalistico (qui, qui e qui, ad esempio), mille volte data sul punto di essere all’approdo e altrettante mille volte smentita, rimandata, messa a punto, ridiscussa, perfezionata, migliorata, integrata, aggiornata, calibrata, ridefinita, rimodulata, ripensata, amalgamata, sintonizzata, concertata, riunificata, discussa e ridiscussa, comparata.
Come? Stufi di troppi aggettivi e participi?
Appunto! Questo era il risultato perseguito con fine regia dai burattinai: portare il popolo bue (nella circostanza più vacca che bue) all’esasperazione, la noia, il sopore.
E’ di oggi la vibrante notizia n° 345 circolata nelle ultime settimane sullo stato di avanzamento del delicato progetto di legge in discussione al Senato sull’argomento: “Oggi, martedì 30, è all’ordine del giorno della Commissione Lavoro del Senato il disegno di legge sull’equo compenso, con i 12 emendamenti (qui) formulati dai membri della Commissione medesima“.
Che culo!, mi verrebbe da aggiungere.
Novità nel momento in cui scrivo? Che domande: ZERO.
Ho sconfinata e sincera ammirazione per i tanti colleghi che, irridendo a ogni ostacolo, continuano a credere nel buon fine dell’operazione.
Io, che sulla sua bontà teorica non avevo dubbi, mentre sulla realizzabilità pratica ne ho sempre avuti milioni, non ho neppure perduto la speranza. Ho perduto invece, quel che è peggio, la pazienza.
Insomma, di questa vicenda che, ne sono certo, non vedrà mai la luce a causa delle preordinate camarille tecnico-parlamentari, ne comincio ad aver pieni i sacrosanti.
Ormai, come ne sento parlare, m’addormo!
E’ l’effetto di tutti i film visti troppe volte.
E questo è un film dalla trama tragicomica e molto risaputa.
Amici, rassegnatevi: i poteri forti e i sedicenti custodi unitari delle sorti luminose e progressive della categoria hanno deciso che, in virtù di un governo a termine e delle imminenti elezioni, la legge sull’equo compenso non s’ha da fare.
Non perdete tempo a confrontare la milionesima versione del testo buttata giù dai soliti amanuensi conto terzi.
Aprite gli occhi, convincetevi di aver letto male: qui non si vuole darvi l’equo compenso, si trama solo per estorcervi (dopo) un iniquo consenso.