Campagna elettorale: eccitazione permanente o oppio dei giornalisti?

Tutto come da copione all’OdG: eletti (col voto dei previsti quattro gatti: l’affluenza è stata di meno del 10% degli aventi diritto) fior di colleghi, ma voci nuove nessuna. E con un preoccupante rigurgito della logica, invadente e insidiosa, degli opposti schieramenti. L’emergenza rimane la stessa di prima: cioè la necessità inderogabile di dare spazio ai “giornalismi” che nei consigli non sono rappresentati e, spesso, neppure considerati. Eppure, chiuse le urne, già si è aperta una nuova campagna elettorale, quella per l’Assostampa. Così la macchina infernale riprende il suo inesorabile giro e la professione resta in ombra. Speriamo che ne frattempo non tramonti.

Come chi mi conosce sa bene, sono tendenzialmente tutt’altro che favorevole all’idea che una “faccia nuova” sia a priori migliore di una “già vista”. Tanto premesso, dovrei dunque essere soddisfattissimo dei risultati del ballottaggio di ieri alle elezioni dell’Ordine dei Giornalisti della Toscana dove, di “facce nuove”, non ne è stata eletta nemmeno una.
E invece non sono affatto contento.
Non ho niente di personale, ovviamente, contro nessuno degli eletti, ai quali vanno indistintamente i miei auguri e le mie congratulazioni.
Ma non posso negare che una ventata di freschezza e di gioventù professionale, nonchè consiliare, ci sarebbe stata bene. Invece, nemmeno una delle nuove leve che erano riuscite ad accedere al terzo turno ce l’ha fatta. E questo non è solo un male, ma è la dimostrazione di come il “sistema” sia concepito.
Concepito cioè, esattamente come nella politica, su un doppio quanto esiziale binario: l’egemonia dei “partiti” e, all’interno di questa, l’inevitabile prevalenza di chi, per anzianità anagrafica o di carica, gode dell’esperienza e della visibilità necessarie per prevalere.
Ciò, oltretutto, congegnato in un meccanismo perverso che svuota ulteriormente la crosta di parvente democrazia di cui l’operazione si ammanta perchè, “giocando” sulle norme regolamentari, di fatto annulla in toto il primo turno, trasforma il secondo in una raffazzonata consultazione primaria fatta quasi alla cieca e pilotata dalle organizzazioni “partitiche” e infine, con la forza della stanchezza e l’impatto della militanza, affida a un pugno di qualche centinaio di fedelissimi i voti che contano, cioè quelli che eleggono i consiglieri regionali e nazionali dell’Odg.
Un sistema che non mi piace e contro il quale nelle scorse settimane (vedi qui, qui e qui) mi sono ripetutamente scagliato.
Ovvio che, formalmente, regole sono queste e vanno rispettate (non so quanto lo siano i pizzini con i nomi da votare talvolta consegnati assieme alla scheda, i suggerimenti bisbigliati e certe affissioni “galeotte” dei candidati, ma non stiamo a sottilizzare). Non meravigliamoci, però, se poi a votare vanno due gatti, se gli eletti rappresentano poco più che se stessi e se la categoria viene spernacchiata ovunque si presenti.
Eppure, paradossalmente se vogliamo, il problema più grande non è questo, ma la capacità dei nuovi consigli dei giornalisti – nazionale e regionali – di vincere la corsa contro il tempo e adattarsi alle nuove realtà della professione che ormai sono evidenti a tutti e presenti ovunque, tranne che nell’istituzione professionale.
Una scadenza inderogabile sulla quale tuttavia, all’indomani del voto, un’altra incipiente campagna elettorale sembra già aver già disteso il suo velo, facendo scattare il meccanismo delle grandi manovre in vista del rinnovo delle cariche nell’Assostampa. Cooptazioni tardive e non richieste, inattesi attestati di considerazioni, cordialità inusuali, telefonate improbabili e impreviste, conversazioni tendenziosamente orientate, ritrovate convergenze, melliflue captazioni di benevolenza: parte la caccia al candidato, all’alleato, al consenso. Le macchine ameboidi dei “partiti”, finita la competizione, cercano di reinventarsi, di riamalgamarsi in vista della seconda. Oggi il mio telefono ha squillato quattro volte. Dall’altra parte del filo, gente che non sentivo da anni. O che fino a ieri non aveva motivo di chiamarmi. E il risultato della conversazione è stato sempre quello: il sindacato, gli editori, il contratto. Bla, bla, bla.
Insomma ci risiamo. Come se finora avessimo scherzato.