In occasione della premiazione del concorso giornalistico dedicato a Roberto Romaldo, l’essenza della professione e dei suoi punti nodali: l’informazione come strumento di conoscenza e la ricerca della verità come punto di equilibrio tra sè e i fatti.

Sebbene fossero tanti tra il pubblico e tanti gli oratori chiamati a intervenire questa mattina, nel complesso senese del Santa Maria della Scala, al convegno “Giornalismo, etica e multiculturalismo: la comunicazione nell’Europa dei popoli”, organizzato dal Gruppo Stampa Autonomo di Siena (qui) per ricordare il presidente Roberto Romaldo, recentemente scomparso, la lezione migliore è venuta proprio da quest’ultimo.
Una lezione silenziosa, ma non certo muta. Pronunciata attraverso la rievocazione dei tanti che gli sono stati vicini e l’hanno conosciuto bene.
Nessuna retorica, si badi. Nessun accento lacrimevole.
E nessuna banalità, soprattutto, nonostante l’uditorio fosse in gran parte popolato da studenti medi, i più sensibili forse al fascino traditore e canagliesco della professione giornalistica. Quella professione della quale – visibilità, aggressività, vita e stile sopra le righe – Romaldo incarnava l’esatto contrario dello stereotipo.
Da più colleghi, per fortuna, è venuto ai giovani un saggio monito a non prefigurare per se stessi i destini eroici di tanti cronisti buoni per le fiction televisive, ma niente affatto per un mestiere che, in fondo, ha il solo scopo di raccontare i fatti con verità, scrupolo ed equilibrio.
Equilibrio, appunto. Capacità di conciliare le proprie idee con l’oggettivo.
Quello che, con l’umanità, era la dote migliore di Roberto Romaldo.
Una dote che gli veniva senza dubbio anche dalla fede cristiana e che egli ha saputo sempre mettere a disposizione del proprio lavoro con tatto e discrezione, senza mai brandirla, nè farne un dogma assoluto.
Il tema della discussione era particolarmente insidioso: il giornalismo come sostanziale strumento di conoscenza e, quindi, come strumento dell’abbattimento delle barriere dettate dalla diversità. Attenzione, quindi. Nulla a che vedere con la negazione delle differenze, bensì con la comprensione della loro esistenza e della necessità di una loro reciproca legittimazione.
Concetto sottile ma fondamentale, che riemerge carsicamente ogni volta che si parla di informazione.
Anche oggi, a Siena, quando il discorso è scivolato sulla libertà di stampa, il diritto di cronaca, la tutela della privacy, il rispetto della persona e delle genti, il giornalismo come “ponte” tra le culture. Per approdare infine alle questioni nodali della professione di oggi: la necessità di non confondere la libertà di stampa con quella di opinione, il ruolo a volte ambiguo della rete e dei blog, la natura a volte imbarazzante e a volte apertamente illegittima delle “notizie” anonime, il ristabilendo confine tra giornalismo e non giornalismo in una galassia che mescola spesso confusamente nozioni antitetiche come professionalità e citizen journalism, propaganda e, appunto, informazione.
Se di tutto questo Roberto Romaldo è stato sempre un interprete attento e discreto, significativa è l’affermazione del presidente dell’Assostampa Toscana, Paolo Ciampi: “Facendo circolare notizie attraverso il web ognuno di noi compie, ogni giorno, atti di giornalismo”.
Atti, appunto. Non un giornalismo a tutto tondo, che è un’arte difficile. Come lo erano la capacità di mediazione e di sintesi di Romaldo.