La Confagricoltura definisce il Pit l'”attacco terroristico di un pensiero sociopolitico” e chiede un drastico “pit stop”. I consorzi vinicoli rincarano: è anacronistico e sbagliato. Sul piano per il paesaggio si profila battaglia, anche legale.
Il malumore, per dirla eufemisticamente, era nell’aria.
I presidenti dei consorzi vinicoli toscani lo hanno affidato oggi a un documento condiviso in cui hanno definito il malloppo regionale “anacronistico, sbagliato, vecchio, manicheo, politicamente errato, pieno di pregiudizi e da rifare completamente“.
E ieri non c’era andato certo leggero nemmeno Francesco Miari Fulcis, presidente di Federtosca, nell’esprimere la rabbia e lo sconcerto dei suoi associati nel corso della conferenza stampa indetta all’Accademia dei Georgofili.
“Il P.I.T., Piano di Indirizzo Territoriale, che consta di oltre 3000 pagine ed è costato alla comunità 1.400.000 euro è stato elaborato in tre anni senza alcun confronto con gli agricoltori toscani da secoli plasmatori di un territorio che tutto il mondo ha cercato di copiarci“, ha esordito Miari. I nostri prodotti sono i veri ambasciatori della Toscana e sono gli unici fatti al 100% sul territorio. Sappiamo benissimo l’importanza e la valenza che la qualità del territorio ha sul successo delle nostre produzioni siano essi il florovivaismo, il vino, l’olio, la zootecnia, l’agriturismo. Da secoli siamo artefici di una attività che ha sempre coniugato sviluppo occupazione e qualità dei luoghi.
Riteniamo di essere sotto attacco terroristico di un pensiero sociopolitico che porterebbe la nostra regione indietro di decenni cancellandone le sue peculiarità che la vogliono motore di intelligenza e qualità produttiva e lavoro.
E’ praticamente impossibile studiare a fondo, calzando poi le ricadute sul territorio, queste 3000 pagine di uno studio durato tre anni e nascosto ai più. Ma del quale sono emerse chiarissime le linee guida imposte da un manipolo di professori.
Urge quindi un immediato PIT-STOP.
Oggi una norma che doveva essere di solo supporto ed indirizzo alle amministrazioni periferiche affinchè si uniformassero nelle scelte territoriali e nei loro piani di sviluppo è di fatto invece un documento rindondante di divieti e analisi completamente avulse dalla realtà ed uniti ad una buona dose di giudizi personali di chi vuole fortemente modificare il territorio toscano riportandolo ad un assetto primordiale. Occupazione, sicurezza sui posti di lavoro, analisi di mercato, studio economico dei vari processi, sono tutte attività che nelle 3000 pagine non trovano spazio adeguato per l’agricoltura mentre frasi come calo rilevante delle esportazioni oppure timore di smarrire ciò che abbiamo faticosamente raggiunto nel dopoguerra fino ad oggi, piuttosto che una voglia diffusa di scommettere sul futuro e su una innovazione possibile non fanno part del nostro mondo che ha sempre investito tempo e risorse nelle campagne.
La Costituzione della Repubblica italiana recita che essa è fondata sul lavoro ed il Piano Territoriale di Indirizzo (PIT) avente funzioni di Piano Paesaggistico della Regione Toscana, non solo non lo valorizza ma nemmeno lo considera, rendendo impossibile per l’operatore agricolo di svolgere il suo lavoro e di creare un minimo di reddito per se, per la propria impresa ed i suoi familiari.
Si è anche parlato recentemente di snellimento intelligente e riprendo le parole di un alto esponente politico che ha detto: ”dove la Toscana deve essere protagonista di una rivoluzione di principio: si mettono vincoli nella misura minima necessaria e non nella misura massima immaginabile”.
Il nostro mondo è fatta di aziende agricole che hanno contribuito a realizzare quello che è universalmente riconosciuto come un paesaggio per il proprio lavoro spettacoloso, dove l’ingegno e la capacità di adattamento degli agricoltori ha permesso di mantenere, pur nell’evoluzione, indispensabile per tutelare imprese e lavoratori, un territorio di per sé assai fragile.
Il PSR 2014-2020 –piano di sviluppo Rurale – è strumento di crescita, di occupazione, di miglioramento delle condizioni di lavoro, di miglioramento dell’ambiente… non di conservazione o addirittura di “ripristino”. Come qualcuno ha sostenuto.
Ripristino di cosa? Di quale periodo storico? Riproponiamo il paesaggio della Cappella dei Magi? Ma gli ideatori di tale documento, che in tre anni è stato solo occasionalmente raccontato agli interessati ma nella realtà nascosto a tutti (neanche sotto il fascismo veniva fatto ciò), sono realmente disposti a riprendere tutto in mano iniziando un cammino politicamente corretto e scevro da ideologismi del passato?
Gli ideatori del piano si ergono a paladini di un sistema agricolo oggi invidiato da tutto il mondo senza la minima conoscenza o confronto con chi lo ha sviluppato costruendo un mondo migliore che oggi è riconosciuto universalmente per qualità uniche di produzioni e paesaggio ed oggi pretendono di affermare le proprie idee spiegando al mondo come si deve fare, ignorando le più banali conoscenze dell’economia agraria, del mercato, della salvaguardia della sicurezza sui posti di lavoro e dell’occupazione, tanto cara al nostro presidente Rossi.
Il sistema-fattoria, con le sue specificità e multifunzionalità, ci viene copiato in ogni angolo dell’emisfero ed ora ce lo vogliono insegnare a fronte di quali esperienze?
Si parla di maglia poderale, per noi la Toscana è di per sé una maglia strepitosamente bella e in continua evoluzione. Basta percorrere la Fi Mare e guardare lo stato dei luoghi prima di arrivare al distretto vivaistico: abbandono e cespugliato ed oltre questo un giardino diffuso. E allora perché castigarne lo sviluppo?
Il futuro della Toscana agricola passa attraverso anche altre filosofie che parlano di massima attenzione per un occupazione rispettosa delle innumerevoli regole, al reddito che possa permettere investimenti e crescita, alla competitività per qualità e valori dei nostri prodotti sul mercato mondiale.
E’ fuori dalle logiche del mercato il criterio, che si vorrebbe adottare, della pianificazione di un’attività produttiva che si vuole invariante strutturale quando in realtà deve proprio essere in grado di poter variare per rispondere alle mutanti esigenze di competitività imposte dal mercato. Nel Piano ci sono anche elementi e principi da dover riaffermare: la libertà di coltivazione e di adozione delle tecniche colturali per esempio così come la visione imprenditoriale, dinamica e moderna dell’agricoltura nel rispetto delle norme come già detto ma che voglio rimarcare, sulla sicurezza sui posti di lavoro e delle buone pratiche agricole già in vigore. E soprattutto dobbiamo difendere il paesaggio che non può che essere il risultato dell’attività economica dell’impresa agricola. Siamo infatti fermamente convinti che la limitazione, o ancor peggio il divieto, della libertà di impresa conduce solo all’abbandono dei terreni ed al degrado del paesaggio, allo spopolamento delle campagne, al dissesto idrogeologico”.
Queste le nostre considerazioni che non vogliono essere una presa di posizione definitiva ma che devono essere il punto di ri-partenza per un confronto reale ed efficace, e che porti risultati concreti, con le istituzioni anche per non rischiare di perdere una parte consistente degli investimenti, privati e della Comunità Europea.
Faremo nei tempi tutte le osservazioni necessarie affinchè emergano le criticità che vogliamo siano corrette e riviste prendondo tutto il tempo necessario ad un reale approfondimento e confronto“.
Ma non basta.
Alle domande dei giornalisti che chiedevano come mai, ad esempio, l’Ordine dei Geologi della Toscana sembrasse appoggiare le conclusioni del Pit, è stato risposto che “ognuno fa il proprio interesse“: ed è chiaro di chi è l’interesse se per smuovere solo una zolla di terra bisogna presentare una relazione geologica.
Le vie di trattativa rimaste aperte?
Poche, sotto certi aspetti nessuna: o un pit-stop, cioè un ripensamento globale e radicale del piano nelle sue fondamenta (che vista la genesi e il tempo residuo pare improbabile), o l’accoglimento delle copiose e ostilissime “osservazioni” che si prospettano al medesimo (cosa altrettanto improbabile), o una guerra senza esclusione di colpi. Compresa quella della giustizia amministrativa, che Miari Fulcis ha esplicitamente menzionato.
La sensazione generale è quella di un’impasse preoccupante: da un lato il mondo agricolo in subbuglio (Confagricoltura e Cia sugli scudi, più sfumata in verità la posizione di Coldiretti), dall’altro un provvedimento in dirittura d’arrivo, già approvato all’unanimità da un consiglio regionale, moltissimi esponenti del quale, però, inclusi membri della maggioranza, (colpevolmente) colti di sorpresa e messi in imbarazzo dall’impostazione ideologica e vincolistica del documento.