Oggi l’incontro Siddi-Bonaiuti sul lavoro autonomo. Giorni fa, dopo nove mesi, l’audizione sulla proposta di legge per l’equità retributiva nel lavoro giornalistico e un decreto per i compensi minimi. Ci sarebbe da rallegrarsi. Se sapessero di cosa parlano…

Se, come insegna un adagio molto diffuso tra i colleghi, la bontà dell’articolo si vede fin dall”“attacco”, cioè dall’inizio, l’esordio è disastroso. Ed espliciti quanto disastrosi sono già i titoli con i quali le istituzioni e i commentatori coinvolti introducono le loro articolesse sulla materia.
“Contratti atipici e lavoro autonomo giornalistico. Sul tavolo analisi, monitoraggio e un pacchetto di proposte“, urla oggi (qui) il sito della Federazione nazionale della stampa annunciando l’incontro, previsto per oggi, tra il Sottosegretario all’editoria Paolo Bonaiuti e Segretario della Fnsi, Franco Siddi. “Precarietà, rispetto dell’articolo 36 della Costituzione, proposta di tariffario per il lavoro autonomo”, strillava giorni fa (qui) il medesimo sito del sedicente sindacato unico dei giornalisti; “Giustizia per i free lance” gli fa eco oggi (qui), dal suo notiziario quotidiano sulla professione, Franco Abruzzo, per trent’anni presidente dell’Ordine della Lombardia, come dire metà del giornalismo italiano. Ecco l’annuncio del quo: “Una proposta di tariffario per stabilire modalità e soglie di pagamento del lavoro giornalistico freelance per definire limiti sotto i quali è illegale scendere, per l’avvio di un percorso legislativo concertato. E’ questa la richiesta che la commissione del Lavoro del Senato ha avanzato ai rappresentanti dei precari dell’informazione, convocati per un’audizione nell’ambito dell’inchiesta in corso a Palazzo Madama.”.
Insomma: freelance, ovvero giornalisti liberi professionisti, sugli scudi, sembrerebbe.
Sembrerebbe, appunto. E invece no.
Basta scorrere il testo per capire che non si parla di libera professione, ma, assai più vagamente, di “titolari di un rapporto di collaborazione” o, ancora (peggio!), di “titolari di un rapporto di lavoro non subordinato”. Insomma, di tutto quel calderone di figure professionali diverse – e spesso contrapposte, anche per interessi – nel quale un po’ per comodità e un po’ per ignoranza si tende a relegare ciò che esce dal rassicurante criterio del cosiddetto “contrattualizzato”: cioè di chi è dipendente fisso di un’azienda editoriale con un contratto di lavoro giornalistico.
La ragione, anzi le ragioni del mio sgomento sono presto dette. E sono di natura tutt’altro che formale.
Primo, i freelance (coloro i quali, cioè, per scelta hanno abbracciato la libera professione) hanno esigenze, problematiche, profili completamente diversi dai precari, cioè da coloro che, per scelta o per destino, hanno dei contratti a termine, oppure svolgono un lavoro parasubordinato per un solo committente, dal quale sperano, prima o poi (spesso mai) di essere assunti. La differenza è solare: basti dire che, come qualsiasi libero professionista, i primi hanno per definizione (rectius: debbono avere) rapporti di lavoro con una pluralità di soggetti (altrimenti sarebbero e/o potrebbero diventare dipendenti), mentre i secondi hanno appunto, per forza di cose, rapporti con il solo soggetto da cui sono temporaneamente impiegati.
Secondo: il soggetto che più di tutti ha le idee confuse sulle diverse anime dei propri appartenenti e sulle fondamentali differenze tra le subcategorie che animano la professione giornalistica è esattamente quello che viene chiamato a far parte dell’istituenda commissione interministeriale: l’Ordine. Seguito a ruota dal sindacato. Ambedue infatti proprio non riescono a ficcarsi in testa che il freelance è cosa diversa (non migliore o peggiore: solo diversa) dal precario.
Da questo equivoco di fondo prendono vita buona parte delle storture e degli abbagli che zavorrano, ed anzi hanno quasi fatto affogare, questo maledetto mestiere.
Come si fa, dunque, a rallegrarsi all’annuncio della pur encomiabile, negli scopi, iniziativa legislativa bipartisan che, presentata – e rimasta lì – il 18 giugno del 2010 – parrebbe ora sul punto di uscire dalle secche parlamentari? Uscita di cui le citate fonti danno notizia con titoloni, tromboni e fanfare?
Domanda numero uno: che ne sanno di equità retributiva del lavoro giornalistico i tre soggetti chiamati a comporre la commissione, uno designato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con funzioni di presidente, uno designato dal Ministro dello sviluppo economico e uno designato dal Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti? A quali parametri si rifanno? L’interrogativo è legittimo, perché qualunque freelance sia passato, per necessità giudiziarie, dalle forche caudine della “bollatura” ordinistica delle fatture, bollatura richiesta dal giudice e necessaria ad asseverarne la congruità dell’importo in caso di contenzioso con l’editore, ha imparato a sue spese che per quelli dell’OdG, abituati a rifarsi ai risibili compensi correnti, le fatture di cui il povero freelance reclama in tribunale il pagamento sono sempre troppo alte. Tradotto in parole semplici: danno ragione alla controparte e attestano che il giornalista chiede compensi esorbitanti.
Domanda numero due: ha senso che il Parlamento chieda una “bozza di tariffario” alla Commissione nazionale lavoro autonomo della Fnsi, ovvero a quel papocchio che, guidato da un contrattualizzato (e ciò la dice lunga sulla competenza intrinseca che c’è da aspettarsi), anche in sede congressuale ha confuso free lance e precari, abusivi e cococo, mescolando tutti in un tritacarne dal quale siano usciti, inevitabilmente, cotti (anzi: fritti)?
Domanda numero tre: a fronte di quest’equivoco di fondo, in cui viene conferita dignità professionale a un lavoro svolto per compensi, puramente simbolici, di 2 euro a pezzo, quanto mai alto potrà essere il moltiplicatore destinato secondo la Commissione a restituire “equità” al compenso stesso? Se fosse del 100%, saliremo alla principesca cifra di 4 (quattro) euro. Se fosse del 1000% (millepercento), a 20 (venti) euro. Se fosse del 5000% (cinquemilapercento) a 100 (cento) euro. Pare realistico che gli editori siano disposti a concedere aumenti dei compensi del 5mila%?
Domanda numero 4: perché, soprattutto, non si è pensato prima a individuare i diversi problemi (definizione della precarietà, fissazione delle soglie minime reddituali per i freelance) e poi, in base a questi, di consultare le rispettive basi rappresentative delle subcategorie, facendo ben attenzione a non confonderle tra loro?
Morale: da tanto encomiabile ma confusionario sforzo usciremo per l’ennesima volta a pezzi. Dilettanti e professionisti, abusivi e aspiranti redattori, incapaci e capacissimi, liberi professionisti e precari si troveranno accomunati in un abito del quale non potranno mai condividere nè il taglio, nè la misura.
E scenderemo nel gorgo. Muti.