Infuria la polemica tra il leader del M5S e la stampa. Molti colleghi si indignano e, dal loro punto di vista, hanno ragione. Ma a ben guardare il comico non ce l’ha con noi, bensì con l’immagine che diamo di noi stessi. Quindi, invece di fare le vittime…

Mi scrive un collega che stimo assai: “E una class action di giornalisti contro Grillo? Io non ho mai preso soldi da nessuno, non sono mai stato corrotto, non mi sono arricchito. Ora sono senza lavoro e devo sentirmi dire cose simili?
Non gli ho ancora risposto, ma lo faccio da qui.
Dicendo che ha ragione ma anche che, forse, la class action dovremmo farla prima contro noi stessi. Non solo contro i nostri rappresentanti: proprio contro di noi, come collettività di giornalisti.
Perchè la colpa della nascita dello stereotipo divenuto il bersaglio preferito del fumantino leader politico è nostra, di tutti. Della nostra pigra tolleranza, del nostro assenteismo elettorale (mi riferisco all’OdG), del nostro sostanziale disinteresse, salvo pochi, allo stato di salute della professione, della modesta consapevolezza della nostra funzione, del correntismo e delle conseguenti infiltrazioni della politica nelle scelte ordinistiche.
Il che ha consentito l’affermarsi di un’immagine sbagliata del giornalista: arrogante, impunito, furbetto, opportunista, ipergarantito, iperpagato, privilegiato. In realtà, un’infima minoranza rispetto al totale. Fermo restando però che, anche pescando in mezzo alla maggioranza, non è che si trovi sempre del buono.
Dalla sua pagina FB, il presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino, giorni fa tuonava: “Ora stanno esagerando. Stiamo esagerando. Fare fumosi paragoni tra il leader del M5S e il nazismo non è battaglia politica, è una volgarità. Grillo aiuta, con le sue esasperazioni e quel suo eterno sparare nel mucchio. Ma forse un po’ di misura (anche per non precipitare nel ridicolo o, se si è senza pudore, per non esasperare ulteriormente il clima) non guasterebbe. Certo, se Grillo si decidesse a rispondere senza urla a qualche domanda darebbe un contributo utile. Se vuole, gli organizzo un incontro stampa con 50 giornalisti “schiavi” quelli che guadagnano pochi euro ad articolo. Se li incontra, ne sono certo, vedrà che non sono né lupi né diavoli. Ma professionisti con la schiena dritta. Non li sceglierò neanche io, chiederò ai Coordinamenti, sparsi in tutta Italia, di indicarli“.
E oggi, prendendola da un altro verso: “Riciclaggio. So che sto per cacciarmi in una polemica e dico fin da ora che non replicherò ma eliminerò solo i commenti che contengono insulti e volgarità (lasciando, ovviamente, quelli perfino ipercritici). Ma non ne posso più dei giornalisti militanti. Di quelli che lo fanno da anni (mi riferisco a quanti lavorano per testate di “opinione“, sia chiaro, non per quelle di partito) con una faziosità che tutela i loro privilegi, ma legittima aggressioni (e non mi riferisco solo a Beppe Grillo) a quanti con la schiena dritta fanno questo mestiere. Sono migliaia e migliaia. E molti di loro sopravvivono con retribuzioni da fame. I peggiori sono i “velisti”. Fiutano il vento e fanno la ruota attorno allo yacht del potente del momento, cercando di accreditarsi sperando di poter essere ammessi a bordo. Assisto a inquietanti repliche di queste manovre che ho visto fare attorno a Pci-Pds-Ds-Pd, Dc-Ppi-Margherita, Psi, Forza Italia-An-Pdl, senza trascurare i “minori” ma potenti nelle varie fasi. Comandante, chiunque tu sia, una viratina brusca prima a destra e poi a sinistra (gradita anche la manovra opposta): faccia fare loro un salutare bagnetto. Ci aiuti ad onorare il solo dovere che abbiamo: quello di offrire ai cittadini una informazione corretta“.
Ecco, appunto: caro Enzo, mesi fa, proprio in questa sede (qui), scrissi un post su questo argomento, scontrandomi tuttavia contro un muro di finti sordi e finti ciechi. Spesso tra i “militanti” rientrano infatti pure quelli con “retribuzione da fame”. Ciò perchè moltissimi presunti colleghi, cioè tali di diritto ma non di fatto, tendono a scambiare per esercizio della professione giornalistica la loro attività di militanti (quasi sempre per un giornale di “riferimento” politico/partitico/ideologico). Oltretutto senza rendersi conto che, invece, il giornale medesimo li considera (e perciò li tratta, anche economicamente, da) militanti, cioè da volontari per la causa. I quali, quando non servono più, si lasciano “liberi“.
Ammettiamolo: di queste figure di sottopagati ma iperideologicizzati la stampa italiana è piena. Pretendono di fare politica ma facendosi scudo con l’intoccabilità dello status giornalistico. Esempi? Basta sfogliare i giornali.
Di solito, quanto costoro si accorgono che, sorpresa!, la figura del militante e quella del giornalista non sono compatibili, sopraggiunge in loro un brusco ma tardivo risveglio, con relative indignazioni e rivendicazioni.
Informare però non significa caldeggiare la propria opinione, o peggio ancora fare il tifo scrivendo sul notiziario dei tifosi, ma riportare fatti, sempre. Magari disimpegnandosi tra le linee editoriali di una testata.
Ciò a dimostrazione che sparare nel mucchio, come fa Grillo, è ingiusto. Ma anche che spesso, nel mucchio, si nasconde chi non dovrebbe essere lì e che è il bersaglio vero dell’antigiornalismo.
Se si nega l’evidenza, non meravigliamoci se ci attaccano.
Ricordiamocene alle elezioni dell’Ordine, a maggio.