Kafka? A noi ci fa un baffo. Nella repubblica in cui tutti tengono famiglia e mai nessuno è responsabile, l’ottusocrazia prospera. Ecco una storia di ordinaria sinecura burocratica. Donde esci comunque becco e bastonato. E ti tocca dire come Totò: “…E io pago!”.

Siccome il leviatano burocratico è occhiuto e vendicativo, non me ne vogliate se, per una volta, non faccio nomi nè cognomi. Ma il caso va raccontato.
Dunque, tempo fa un amico riceve una raccomandata. Il mittente è uno zelante ufficio pubblico. In sostanza gli dicono: poiché da un’ispezione risulta che hai omesso la presentazione (peraltro onerosa) del documento x, devi pagare una sanzione di 250 euro.
L’amico casca dalle nuvole: mai saputo di doverlo presentare. Anzi, proprio per evitare di perdere tempo con la burocrazia ho, su suggerimento di uno stimato professionista, scelto l’iter che esenta quelli come me da gravami di quel tipo.
Piuttosto seccato chiama pertanto il consulente per contestargli l’errato suggerimento. Ma lui gli fa rileggere il verbale. E notare, con un certo suo disappunto, tre cose:
1) l’ispezione è stata fatta d’ufficio, senza sopralluoghi nè contraddittorio, solo spulciando nomi da un elenco e quindi senza che l’ispettore muovesse le terga dalla sedia né facesse il minimo sforzo per capire con chi aveva a che fare;
2) l’incaricato di tale titanica verifica non era stato uno solo, ma l’impresa aveva richiesto l’impiego di ben tre-ispettori-tre;
3) la legge vigente prevede esplicitamente l’adempimento solo per chi è nella condizione diversa da quella del mio amico: ergo, pensa ragionevolmente lui, io devo esserne esentato per forza.
Mai però, in burocrazia, dare per scontato ciò che logica e buon senso suggeriscono.
D’accordo con il professionista, decide allora di chiedere per iscritto un chiarimento all’ufficio pubblico. Seguono alcune settimane di imbarazzato silenzio.
Dopodichè, spazientiti, l’amico e il consulente tornano alla carica, stavolta andando a cercare di persona il capo dell’ufficio pubblico.
Il quale, innanzitutto, ammette che i tre pensosissimi ispettori probabilmente non si erano nemmeno accorti del particolare status di “esentabilità” del mio amico. Cominciamo bene. Poi, non sapendo che pesci prendere, chiama il capo regionale dell’ente. Questi, surrealmente, gli risponde (ed egli riferisce) quanto segue: non sappiamo se l’adempimento è dovuto, ma siccome non riusciamo a capirlo si raccomanda di adempiere “prudenzialmente.
Silenzio in sala. Ma come “prudenzialmente”?, eccepisce l’amico. I casi sono due: o la legge dice espressamente che devo fare una certa cosa oppure, non dicendolo, vuol dire che non la devo fare. Non esiste un adempimento “eventualmente” necessario. In ogni caso, conclude pro bono pacis il mio compare, mettetemelo per iscritto e io mi adeguo, anche se non capisco.
Gelo. Occhi bassi. Eh no: il burocrate suggerisce il da farsi, ma non si sbilancia. Siccome non è certo di ciò che dice, per iscritto non mette nulla. Non se ne assume la responsabilità, ci mancherebbe!
Morale: il cittadino dovrebbe fidarsi del bonario suggerimento del burocrate, ma poi, se il suggerimento è sbagliato, pagare le sanzioni inflitte dall’ente guidato dal burocrate medesimo che, mutati i panni, diventa implacabile.
Tra l’impietosito, il rassegnato e il disincantato, il consulente prende il mio amico da una parte e gli dice all’orecchio: adempi, così ci facciamo revocare la sanzione e il problema è risolto.
Soluzione all’italiana, quindi. Solo la multa è certa, non l’infrazione. Né la norma da cui essa deriva. In pratica è un ricatto morale: adempi per non rischiare guai peggiori. “Meglio aver paura che buscarne”, come dice il proverbio. Così in ogni caso paghi: o il consulente che deve seguire la tua pratica o la sanzione che serve a mantenere l’inutile burocrate. Evviva.