“Gratuità” è una brutta parola: induce a credere che le cose possano avere un valore solo venale e che l’oggetto, in quanto gratuito, di per sè valga poco. Ciononostante, però, tutti desiderano avere qualcosa “gratis”. Perfino quello che lo è già. Sui giornali, ad esempio.

Sì, ma quanto costa?“.
Il sopracciglio dell’interlocutore si alza, l’espressione del suo viso si irrigidisce nel tentativo di non apparire brusco, ma risultare comunque convincente.
Gelo.
Hai appena chiesto informazioni, scopo recensione, a qualcuno che fa qualcosa: vino, auto, libri, servizi.
Un’idea di cosa scrivere ce l’hai già, hai fatto tutte le tue verifiche, insomma hai bisogno solo di notizie di dettaglio che certamente non ti faranno cambiare opinione. Quindi non c’è motivo di nasconderti: vai dall’interessato e gliele chiedi.
Ma lui, appreso che vuoi recensire (spesso non coglie che la recensione la farai comunque, anche a prescindere dalle sue risposte), crede di mangiare la foglia e, atteggiandosi a chi la sa lunga, se ne esce con la fatidica domanda.
Io di solito rispondo pacatamente, senza scaldarmi troppo, con una semplice precisazione.
A lei non costa niente – dico – perchè è l’editore che mi paga“.
E’ chiaro però che la cosa mette a disagio perchè quell’interrogativo dimostra che, a lui, qualcuno i soldi li ha chiesti. Oppure crede che siano dovuti, il che è la stessa cosa. Se non peggio.
Insomma l’equivoco delle “recensioni gratis” c’è. Esiste.
Il bello è che invece le recensioni gratis non esistono.
Non esistono perchè, appunto, il giornalista è pagato dell’editore e pertanto non lavora gratis.
Inoltre non esistono perchè, anche quando la recensione è fatta per “rinforzare” un’inserzione pubblicitaria, a maggior ragione la gratuità non c’è per nessuno: nè per chi scrive (vedi sopra), nè per chi ne beneficia (cioè paga).
Allora perchè tutti ne parlano e aspirano ad avere queste benedette “recensioni gratis”?
Semplice: perchè si tende a credere sane certe pratiche patologiche che invece inquinano la linearità della filiera prodotto-giornalista-editore-recensione.
Come il giornalista che prende sottobanco la mazzetta dal recensito e gli verga una recensione encomiastica, oppure il falso giornalista che si inventa un portale e vende gli spazi pubblicitari sotto forma di recensioni, oppure il venditore di pubblicità che truffa il cliente-babbaleo spacciandogli la reclame per un articolo.
E ancora il blogger che, senza vincoli deontologici (nè – per ora – controlli fiscali), agendo come editore di se stesso può permettersi di mescolare disinvoltamente informazione e pubblicità e, quindi, recensioni e marchette, trasformando ogni riga in una fonte di potenziale guadagno e dispensando talvolta, bontà sua, anche qualche “gratuità“.
Solleticando così i succhi gastrici di chi pensa di risparmiare assicurandosi articoli “gratis”, senza capire che non si tratta di informazione. Ma per favore…
Poi si apre il capitolo di chi, pur giornalista, scrive gratis e, tenendo famiglia, deve sbarcare il lunario.
Di questo però meglio parlarne un’altra volta, sennò mi viene il mal di fegato.