di LORENZO COLOMBO
Provincia di Pavia Igt La Macchia 1998 Bellaria: nel 2019 Paolo Massone ha ceduto l’Azienda che apparteneva alla sua famiglia del 1840. La Macchia è stato uno dei suoi vini di punta. E noi l’abbiamo ritrovato in cantina.

 

Stiamo per parlare di un’etichetta, La Macchia, e di un’azienda, la Bellaria, che purtroppo non esistono più.

Cominciamo dal nome del vino, con un aneddoto. Gianluca Ruiz de Cardenas, produttore oltrepadano grande appassionato di Borgogna e di Pinot nero nonchè amico ed ex “vicino d’azienda” di Paolo Massone in quel di Mairano, in comune di Casteggio, sostiene che il nome La Macchia sia stato suggerito da lui, in quanto traduzione dal francese di La Tache, Grand Cru del comune di Vosne-Romanée, nella Côte de Nuits, nonché monopole di Romanée Conti. Cosa curiosa, dato che La Macchia è prodotto con uve Merlot.

Un documento conservato apresso la Camera di commercio di Pavia attesta invece che l’azienda Bellaria è stata condotta sin dal 1840 dalla famiglia Massone. Paolo Massone, già presidente del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, l’ha gestita sino all’agosto 2019 e poi l’ha ceduta.

La Nuova Bellaria è il nome che è stato dato all’azienda dai nuovi proprietari, la famiglia Zaffarana e la Federperiti, di cui nel 1992 Filippo Zaffarana è co-fondatore ed è presidente da oltre vent’anni. Trasformata in resort, continua la produzione di vino, che si può acquistare unicamente in azienda.

La Macchia veniva prodotto con Merlot proveniente da un vigneto messo a dimora nel 1990 su suoli di natura argillosa, allevato a Guyot con densità d’impianto di 5/6.000 ceppi ettaro.
La prima annata di produzione fu la 1997, anno in cui, per puntare sulla qualità, si passò da una produzione media per ceppo di quattro chilogrammi ad una di 1,5 chilogrammi, tramite drastici diradamenti. L’ultima annata di produzione del La Macchia è stato il 2005, anno infausto per Paolo Massone, che in un solo millesimo ha vissuto la perdita di più familiari.

Oggi Paolo, che abbiamo sentito alcuni giorni fa, collabora col vecchio amico Gianluca nella sua azienda.

Le annate migliori per i suoi vini, ci ha detto, furono quelle a cavallo degli anni 2000 ed in effetti, consultando una vecchia guida, abbiamo constatato che La Macchia 2000 aveva ricevuto 2 Bicchieri Rossi dalla guida Vini d’Italia del Gambero Rosso-Slow Food. Non ci resta che provarlo, se riusciremo a scovarne qualche bottiglia (a proposito: in cantina abbiamo scovato un Bricco Sturnèl 1998, Cabernet sauvignon con l’aggiunta di un 20% di Barbera e ci ripromettiamo d’assaggiarlo quanto prima).

La bottiglia del La Macchia 1998, tenuta rigorosamente coricata per anni, si è presentata nuda: sia l’etichetta che la controetichetta erano integre, ma completamente staccate dalla bottiglia. L’apertura s’è rivelata un poco laboriosa, siamo infatti riuscire a togliere il tappo in tre mosse.

La prima impressione, vedendo il sughero quasi completamente colorato dal vino, non è stata delle migliori, cma non c’era alcun segnale olfattivo di degradazione.
Scaraffando il vino ecco un altro buon segno dato dal colore ancora molto bello, data l’età, ossia un granato di buona intensità con unghia leggermente sfumata verso l’aranciato.
Integro al naso, discretamente intenso, elegante ed ampio, con frutto ancora in evidenza (ciliegia matura e prugna), si colgono in sequenza note balsamiche, accenni di sottobosco e spezie dolci, vaniglia, sentori di noci, sbuffi di pepe.
Dotato di discreta struttura, asciutto, con trama tannica in bell’evidenza, legno ancora presente ma ben integrato ed assolutamente non fastidioso (ricordiamoci che eravamo negli anni dove l’uso del legno, barriques soprattutto, era gestito con disinvoltura), morbido ma con buona vena acida, accenni di caffè in polvere, cioccolata calda, vaniglia e poi ancora la frutta rossa, lunga la sua persistenza su sentori di liquirizia.
Un grade vino del quale sentiamo la mancanza.

 

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