Presentato ieri a Firenze il primo censimento dell’informazione on line in Toscana: 51 le testate individuate e 12 quelle ritenute più “giornalistiche”. Su tutto una certezza, però: nella fluidità del web, i conti economici restano cosa maledettamente solida.
Lo confesso subito, tanto per fare chiarezza: alla presentazione avvenuta ieri a Firenze, in consiglio regionale, del primo censimento sull’informazione on line in Toscana (qui), voluto dal Corecom, mi sono trattenuto non più di un’ora. Perdendomi quindi l’80% degli interventi del ricco parterre.
Vi direte: e allora perchè intervieni sull’argomento?
Lo faccio per due ragioni.
Primo, perchè quello che ho sentito mi è bastato e non era diverso da quanto ascoltato in tante altre occasioni. Cioè una spruzzata di sana demagogia digitale, qualche geremiade sul mondo che non ascolta e non capisce, le solite solfe sull’imprenditorialità del settore che non decolla, alcuni moniti (accolti con insofferenza) sul fatto che on line non significa a priori nè vero e nè giusto, l’immancabile pistolotto sul citizen journalism e altre panzane da gente viziata da troppa tecnologia gratuita, certe ragionevoli considerazioni sull’indubbia utilità dello strumento-rete, altre diverse e condivisibili valutazioni di natura sociologica.
Secondo motivo, perchè – come conferma Marco Renzi, uno dei relatori e autori dello studio – “sebbene sia stato lanciato come censimento il nostro rapporto ha analizzato il comparto e non redatto statistiche“.
Insomma quello del Corecom è uno studio da cui escono pochi “numeri“.
Rimando alla lettura del testo per l’approfondimento dei temi affrontati.
I quali a mio modesto parere, come del resto gli interventi che ho sentito, non hanno fatto altro che confermare quanto è già solare, anzi implicito: da un punto di vista sostanziale e professionale l’informazione digitale non si differenzia in nulla da quella tradizionale, mentre, sì, sono molto diversi i modi, i tempi, gli strumenti, le tecniche e forse le logiche.
In altre parole: digitale o meno, un giornalista resta un giornalista e le norme professionali restano le medesime.
Quella a cui però si è solo ripetutamente alluso, o che si è detto a mezza bocca senza impopolarmente enunciarla, forse per non contrariare un uditorio tendente al digitale spinto, è stata la seguente constatazione: si può discettare quanto si vuole di giornalismo web e di informazione on line, ma alla fine questo settore così “fluido“, liquido, inafferrabile non è in grado di offire quasi nulla in termini di ciò che, alla fine è necessario e sta a cuore a tutti, perchè sostiene il sistema. Ovvero il reddito e l’occupazione.
Che è poi ciò che manca e che la gente, anche nel web, cerca.
Ovvero: se il lavoro giornalistico non c’è, a medio-breve l’on line non sembra in grado di darlo. Almeno in termini quantitativamente significativi.
Lavoro retribuito, s’intende. Perchè di volontariato anche il web è pieno.
Così come è pieno di autoimprenditoria, cioè di gente che salta il fosso e tenta di passare dalla professione di giornalista a quella di editore.
Giusto, umano, lecito e anche lodevole.
Purchè resti chiaro che, pure questi, sono mestieri diversi. Direi antitetici.
Cosa forse non emersa dal convegno con tutta l’indispensabile evidenza.