Chiamatele mani avanti, o coda di paglia: ma è la prima volta che sento di un avvocato che, anzichè minacciare querele per la pubblicazione di una notizia sgradita, lancia una minaccia preventiva. Insomma: se pubblicassi, ti faccio causa. Brutti segnali…
In apparenza non ci sarebbe bisogno di ulteriori commenti riportando il caso di cui, con giusta meraviglia, ci riferisce sul suo blog (a proposito: bentornato in febbrile attività!) il collega abruzzese Antonello Antonelli.
Quello di un avvocato pescarese che, assistendo un cliente indagato per detenzione di sostanze stupefacenti, ma non risultando la notizia dell’indagine ancora nota alla stampa, ha pensato bene, come si dice, di “mettere le mani avanti“.
Ha cioè preso carta e penna e ha scritto ai giornali, papale papale, che, qualora la notizia medesima fosse giunta alla redazione e ci fosse intenzione di pubblicarla, egli sarebbe costretto ad “adire” l’autorità giudiziaria per difendere l’onorabilità del suo assistito.
Avete letto bene: non chiede rettifiche, o cautele, o offre collaborazione, contributi, chiarimenti, inviti al dialogo, ma minaccia preventivamente fulmini legali.
In pratica, invoca e anzi intima alla stampa una censura preventiva.
Di più: diffida anche dal pubblicare una foto dell’insegna dell’esercizio.
Non so se ci si rende conto.
Qui non si parla del caso di un minore, o di un caso socialmente difficile, di sospetti o voci, di circostanze delicate, ma del titolare di un locale pubblico all’interno del quale, durante una perquisizione, è spuntata della droga. Circostanza che, se ha dato il via all’indagine sull’interessato, ha fatto evidentemente scorgere al magistrato il fumus di una possibile responsabilità del barista.
Ora, per carità, essere indagati non significa affatto colpevolezza e, anzi, è sempre bene avere massima cautela e distinguo.
Ma, sant’Iddio, un accadimento del genere, in una città media, è una notizia. In nome di cosa la stampa non dovrebbe riferirne, ovviamente osservando tutte le attenzioni del caso? L’informazione è forse segreta o secretata? Esistono superiori ragioni di silenzio?
Se così non è, i giornalisti facciano il loro mestiere, verifichino, circostanzino, esplicitino i più minuziosi approfondimenti, spieghino.
E gli avvocati difendano i clienti.
Ma il fatto stesso che un avvocato trovi concepibile questa forma cautelativa di minaccia e di coda di paglia, la dice lunga sulla deviata percezione che ormai vaste fasce della società hanno dell’informazione e della sua funzione.
Anzi, si è arrivati ormai a un tale livello di psicosi che, come racconta ancora l’ottimo Antonelli, poichè in realtà la notizia dell’indagine non era ancora giunta ai giornali, è stato il legale stesso a offrirla con la sua lettera, involontariamente, alla stampa.
Insomma, se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere.