di LUCIANO PIGNATARO
L’Alberata, Asprinio d’Aversa doc 2018 della Tenuta Fontana, nasce da viti care agli Etruschi, a piede franco, maritate con alberi alti 15 metri, coi tralci aperti a ventaglio. E’ fermentato e affinato in anfora.

 

La vite è pianta che ama maritarsi e di questa spiccata vocazione abbiamo quasi perso le tracce con la nascita della viticultura specializzata. Eppure restano tracce incredibili di come questa pianta si sia adattata in ogni condizioni nel corso dei secoli, riuscendo a coprire un solo terrazzamento in Costiera amalfitana, oppure contribuendo all’agricoltura a due piani con la pergola.
Forse una delle espressioni più spettacolari è la vite maritata nell’Agro Aversano di cui esistono ancora pochissimi esemplari, viti definite impropriamente ad alberata mentre il termine tecnico preciso è piantata. Qui a farla da padrona è l’uva Asprinio, stretta parente del Greco di Tufo secondo recenti ricerche sul dna, un vitigno che molto probabilmente è stata gestita per la prima volta dagli Etruschi.

Uno degli aspetti più interessanti della viticultura campana è proprio questo incrocio fra la tecnica etrusca e greca che si incontrarono/scontrarono nell’isola d’Ischia ma che si confrontarono lungo quasi tutta la regione perché le tracce etrusche sono ampiamente confortate dal Museo di Pontecagnano a sud di Salerno e sicuramente si spinsero nella Piana del Sele in direzione di Paestum, lì dove poi i romani fissarono i confini amministrativi. Fra Campania Felix e Lucania.

Ad Aversa le viti sono sostenute dai pioppi la cui altezza media si aggira fra i dieci e i quindici metri. Per vendemmiare è necessaria una vera e propria conoscenza della tecnica tramandata di generazione in generazione che tiene quasi sospesi i contadini su scale altissime. In queste zone, durante la formazione delle alte spalliere e durante i lavori di potatura secca, i tralci delle viti vengono sistemati in senso verticale in modo da formare un ventaglio aperto.

Scrive W. Goethe nel suo “Viaggio in Italia“: “Finalmente raggiungemmo la pianura di Capua… Nel pomeriggio ci si aprì innanzi una bella campagna tutta in piano… I pioppi sono piantati in fila nei campi e sui rami bene sviluppati si arrampicano le viti… Le viti sono d’un vigore e d’un’altezza straordinaria, i pampini ondeggiano come una rete fra pioppo e pioppo”.
Girando fra Aversa e Casal di Principe è ancora possibile godere di questo spettacolo.
Ecco dunque spiegato il fascino di questa beva, un vino decantato da Mario Soldati nel suo Viaggio in Italia e da Veronelli, che nasce da piante a piede franco sopravvissute grazie alle caratteristiche del suolo vulcanico. Parliano di un’azienda giovane perché l’imbottigliamento è iniziato solo ne 2009, ma di lunghissima tradizione familiare che risale almeno a cinque generazioni, la cui ultima è rappresentata da Mariapina e Antonio Fontana sostenuti dai genitori Raffaele e Teresa Diana. Azienda a cavallo tra l’Aversano e il Sannio, precisamente l’area del Fortore dove si coltivano Aglianico, Sciascinoso e Falanghina, mentre nell’Aversano ovviamente tutti gli sforzi sono diretti alla valorizzazione dell’Asprinio.

La produzione è seguita dall’enologo fiorentino Francesco Bartoletti.
La fermentazione avviene in anfore di terracotta a temperatura controllata, a cui segue un affinamento, sempre in anfora, di sette mesi con permanenza sulle fecce fini e infine altri due mesi in bottiglia prima di entrare il commercio. La spericolata vendemmia avviene in genere alla fine di settembre o all’inizio di ottobre.
A distanza di quasi tre anni il bianco conserva la sua vibrante acidità, note agrumate di cedro e di miele al naso, beva spedita e fresca con un sottofondo amaro che chiuse lasciando il palato pulito.
Una bella esperienza, un esempio di biodiversità da conservare e tutelare.

 

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