di LUCIANO PIGNATARO
La verticale di Titolo tenutasi a Vitigno Italia dimostra che il vino di Elena Fucci è una risposta moderna agli eterni problemi dell’Aglianico e dà lo stesso senso di libertà di quando si procede su una strada vuota mentre a fianco ci sono lunghe file di persone in coda.

 

Abbiamo seguito sin dalla nascita questa azienda vulturina, che ha segnato una svolta decisa nel territorio imponendo uno stile vincente e distensivo. In effetti, la maggior parte dei produttori di Aglianico chiede sempre un impegno mentale e uno sforzo palatale quando si approccia a questo vitigno austero che domina l’Appennino Meridionale e che ormai si affaccia sul Tirreno, sullo Ionio e sull’Adriatico con sempre maggiore insistenza.
Avete presente invece il senso di libertà quando si procede in controesodo, quando hai la strada vuota e di fianco ci sono lunghe file di persone che hanno deciso di fare tutti la stessa cosa allo stesso momento? Bene questa è la metafora che ben raffigura i vini di Elena Fucci.

Il padre insegnante era indeciso se vendere o meno la bella proprietà, si era in una fase di crisi nella quale non si vedevano prospettive, fu allora, siamo ai primi anni di questo millennio, che Elena decise di studiare enologia a Pisa.

Sin dal 2004 il suo vino inizia a distinguersi subito dagli altri per la bevibilità, la capacità di risolvere i tannini, riuscire ad estrarre un buon frutto e regalare una piacevolezza immediatamente leggibile al vino. Una inversione di tendenza rispetto al modello imperante nel Vulture, e che sino a pochi anni prima era stato tale anche in Campania, di procedere a lunghe estrazioni, magari puntare anche su surmaturazioni, caricando oltre modo un vitigno che ha già tanto di suo.

Il global warming di questo ventennio ha poi favorito le aree più fredde, dove l’uva aveva difficoltà a raggiugere la piena maturazione e bisognava aspettare sino a novembre per la vendemmia esponendo il raccolto a gravi rischi.

Trentamila bottiglie da un vigneto complessivo di nove ettari a circa 500 metri su livello del mare, proprio alle falde del Vulcani che eruttò da sette bocche in maniera spaventosa circa 700mila anni fa lasciando tracce ben visibili di quel frullato geologico.

Solo da poco la produzione è stata diversificata, con un Aglianico lavorato in anfora e lo Sceg da vigne ultra settantenni salvate dall’abbandono proprio grazie a questo progetto. Sceg èuna parola di derivazione albanese che indica il frutto del melograno, simbolo di fortuna e di speranza sin dall’antichità. Non dimentichiamo infatti che Barile è uno dei tre paesi (gli altri sono Ginestra e Maschito) nati con gli insediamenti degli albanesi in fuga dagli Ottomani.
Tra gli ultimi nati, merita una citazione anche Titolo Pink.
L’occasione per tornare sulle storie di questa terra onirica e ancora tutta da scoprire è stata la degustazione organizzata al Maschio Angioino nel corso dell’ultima edizione di Vitigno Italia, nel corso della quale Elena ha portato cinque annate più una.

TITOLO 2005.

Procediamo dalla più antica, che conferma quanto scritto sopra e, in genere, la forza dell’Agliaico che resta impassibile di fronte allo scorrere del tempo. Ancora fresco, di buon frutto croccante, lungo e piacevole nel finale

TITOLO 2006.
Annata equilibrata e matura, il frutto si presenta integro, appena un po’ più maturo rispetto all’anata precedente. Il sorso è lunghissimo, la chiusura precisa e pulita.

TITOLO 2013.

Facciamo un salto indietro di appena dieci anni e troviamo questo campioncino in ottima forma, pimpante, ricco di energia, con una buona acidità. Colpisce la sua grande bevibilità, Elena spiega che nel frattempo hanno leggermente cambiato il protocollo usando botti leggermente più piccole delle barrique. Sempre, comunque, in questo vino, legno e fritto sono perfettamente integrati.

TITOLO 2015.

Bellissima annata che regala un vino integro, puro, leggero, equilibrato, dotato di grande verve, assolutamente al passo con i tempi. Anche in questo caso finale lungo e piacevole che invoglia a ripetere il sorso.

TITOLO 2020.

Il vino prodotto durante i momenti difficili del Covid e delle chiusure, quando si viveva l’incertezza per il futuro. Anche questo, come i precedenti, coperto dai punteggi alti da parte di tutte le guide, un rating che porta Titolo sempre nell top 50 dei rossi più premiati d’Italia.

TITOLO 2017 in Magnum.

Fuori degustazione, una magnum della 2017, annata sicuramente complicata e non facile da gestire, che però si presenta in ottima forma, con note di frutta fresca, rimandi basamici, buccia di arancia, appena un po’ di fumè. Al palato tannini setosi, buona acidità, chiusura lunga e piacevole.

In conclusione, oggi Titolo è la risposta moderna agli eterni problemi dell’Aglianico: vini che vanno messi in cura dimagrante e lavorati acino su acino per cacciare via le note verdi e amare sempre in agguato e pronte a guastare la festa. Un vino che può permettersi il lusso di costare un po’ di più per dare il giusto valore ad un lavoro interamente artigianale che oggi trova la sua celebrazione in una cantina perfettamente eco-compatibile chè è diventata tappa obbligata per gli appassionati.

 

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