di ROBERTO GIULIANI
In una magistrale degustazione “enomusicale” condotta da Sandro Sangiorgi durante l’edizione primaverile di “Terre di Vite” di Villa Cavazza, a Bomporto (MO), in scena una verticale bendata di Barbacarlo e Montebuono.
Fra i tanti eventi che svolazzano nel mondo del vino, ce n’è uno al quale collaboro dal lontano 2010: si chiama Terre di Vite ed è una creazione della geniale Barbara Brandoli, che chi ha avuto il piacere di conoscere sa bene quanto sia professionale sia come divulgatrice enoica che come organizzatrice.
L’idea di farne una in primavera, anzichè fra ottobre e novembre come al solito, ci è venuta per una serie di motivi. Uno è che l’aria primaverile è sicuramente più stimolante, l’altro è che molti produttori, in autunno, sono ancora impegnati in cantina.
E’ stata forse la migliore edizione di sempre, con quasi 120 aziende partecipanti e un pubblico di qualità.
Erano previsti alcuni seminari interessanti, di cui uno dedicato alla famiglia Maga condotto da Sandro Sangiorgi (una presenza fissa a Terre di Vite), al quale non potevo rinunciare. E ho fatto bene, sia perché il giornalista di Porthos era in gran forma, sia perché il Barbacarlo e il Montebuono presentati dal 1989 al 2019, scegliendo delle precise annate di riferimento, era un’occasione ghiotta per approfondire due vini che rappresentano qualcosa di leggendario.
So che c’è chi li ama e chi no, ma a mio avviso questo dipende proprio dal fatto che non sono vini “facili” e che hanno bisogno di essere conosciuti nelle loro diverse sfaccettature ed evoluzioni. Non è un caso che proprio la 1989 sia stata l’annata che mi ha fatto più emozionare.
I vini presentati erano sette, che poi sono diventati otto, quindi non tantissimi, ma le intenzioni non erano quelle di una classica verticale, bensì di prendere a riferimento alcune annate e mettere a confronto due vini diversi ma con un’impronta comune, quella fortemente voluta da Lino Maga e oggi portata avanti dal figlio Giuseppe.
Siamo a Broni, in una zona del tutto particolare dell’Oltrepò Pavese, che nessuno del luogo scrive con l’accento sulla “o”, cosa a mio avviso più corretta visto che il nome del fiume ne è privo, mentre stranamente il disciplinare lo prevede con l’accento (ma Lino Maga in etichetta non lo ha mai messo). Le vigne si trovano su una collina dalle pendenze che metterebbero a dura prova chiunque, dove il suolo è tufaceo-sassoso a una quota di circa 300 metri s.l.m.
Terra che un vero contadino come Lino conosceva a menadito e sapeva lavorare, accompagnato dall’inseparabile sigaretta. Qui risiedono Croatina, Uva rara e Ughetta. Le rese per ettaro nelle vigne di Maga sono lontane anni luce da quelle di chiunque altro, sia per sua scelta, sia perché con quel tipo di suolo e pendenza non potrebbero che essere basse, mediamente 30/35 quintali per ettaro, meno di un terzo di quanto consente il disciplinare dell’Oltrepò Pavese. Ma tanto i suoi vini sono sempre stati piuttosto indipendenti: alcune annate sono uscite come DOC Oltrepò Pavese Rosso (e in quel caso diventavano Vigna Barbacarlo e Vigna Montebuono), altre come IGT Provincia di Pavia (senza menzione vigna).
Sangiorgi ha voluto che i vini fossero coperti, perché era importante non sapere quale fosse il Barbacarlo e quale il Montebuono, né avere riferimenti sull’annata. Si sapeva solo che si partiva dai più vecchi per arrivare ai più giovani, per la ragione che i vini recenti sono più aggressivi e tannici, mentre gli “anziani” più sottili, equilibrati, giocati su sensazioni più ampie ma sussurrate. Degustarli in ordine contrario li avrebbe penalizzati quest’ultimi.
Questo tipo di assaggio è ben diverso dalle degustazioni in batteria, durante le quali devi leggere un vino appena versato in uno-due minuti. Qui puoi lasciarlo respirare a lungo, sentirlo e risentirlo più volte, hai la possibilità di conoscerlo nei suoi lati più nascosti, che si rivelano solo dopo decine e decine di minuti.
Oltrepo Pavese Rosso Montebuono 1989: cangiante come non mai, parte con note speziate e di erbe aromatiche, un frutto maturo che richiama l’amarena caramellizzata, ma anche la ciliegia; ferroso, ematico, scorza di arancia amara, tocchi fumé, vaghi richiami al fungo e al sottobosco. Al palato ha ancora una bella vitalità, tutto il suo carattere terragno emerge con forza, il tannino aggredisce con brevi tocchi per poi immergersi nel frutto. Un vero spettacolo per i sensi.
Oltrepo Pavese Rosso Barbacarlo 1989: va detto che nella storia di questi due vini, il Barbacarlo ha quasi sempre adombrato il Montebuono, a mio avviso ingiustamente, questa degustazione me lo ha chiaramente confermato. Meno disponibile nella fase iniziale, poi mostra un bouquet equilibrato ma non così ampio e variegato come il precedente, ha un bel timbro balsamico, un frutto ben espresso e non surmaturo, una speziatura più delicata, qui amarena e ciliegia si alternano in modo ritmato; l’assaggio rivela molto più sulla bellezza di questo vino, più passano i minuti e più sale, coinvolge, mostrando un equilibrio straordinario e una freschezza che mai ti farebbe pensare a un vino di 34 anni. Il tannino è perfettamente inserito nella polpa che non scalpita ma si spalma sulle pareti della bocca, rilasciando inebrianti sensazioni. Monumentale.
Oltrepo Pavese Rosso Montebuono 1996: bottiglia sfortunata, nella mia fila, per fortuna ce n’è un’altra, purtroppo però ci sono molti depositi e il vino non è del tutto fruibile, peccato perché rivela comunque un bel frutto vivo e una piacevole vena balsamica. Anche al palato esprime una notevole vivacità e freschezza, i suoi 27 anni non si sentono per nulla, ha i tratti della grande annata pur non essendo una bottiglia felicissima.
Oltrepo Pavese Vigna Barbacarlo 2002: un’annata micidiale un po’ in tutta Italia, salvo rare eccezioni, piovosa per lunghi periodi, con una pausa abbastanza prolungata solo dopo i primi di ottobre. Chi ha aspettato e raccolto più avanti (e Maga è uno di questi) ha ottenuto un vino certamente più esile ma di grande fascino. Tutta quella forza e spinta di cui il Barbacarlo è capace, qui trova una dimensione altra, giocata sulla freschezza e su una grande purezza di frutto con anche cenni floreali. Un vino fortemente godibile, per nulla stanco.
Barbacarlo 2018 (Provincia di Pavia Rosso IGT): da qui si sente netto lo stacco con le altre annate, siamo in piena fase scalpitante, c’è maggiore materia, toni scuri sia nel colore che nella tipologia di frutto, non solo amarene ma anche prugne. Al gusto racconta il breve vissuto iniziale attraverso una spiccata vena acida e un tannino aitante, tanto frutto succoso che ne favorisce già una invitante bevibilità.
Barbacarlo 2019 (Provincia di Pavia Rosso IGT): che dire, rubino cupo, un’amarena avviluppante con intarsi di mora di rovo e prugna, ciliegia nera, arancia sanguinella. Il sorso evidenzia tutta la sua energia giovanile, eppure, nonostante sia un puledro scalpitante, l’abbondanza di frutto riempie di sapore le pareti della bocca nascondendo in parte la tensione acido-tannica in un contesto di assoluto piacere.
Montebuono 2019 (Provincia di Pavia Rosso IGT): impressionante esempio di quanto questo vino non sia affatto secondo al Barbacarlo, anzi, proprio con questa annata sprigiona tutta la sua bellezza, evidenziando una purezza espressiva che lascia senza parole. Tutto in divenire, certo, ma la tessitura è magistrale, perfetta, rifinita come non mai. Costi quel che costi prendetene qualche bottiglia finché siete in tempo perché vi darà enormi soddisfazioni.
Montebuono 2005 (Provincia di Pavia Rosso IGT): a sorpresa e non previsto ecco un millesimo di rara bellezza, a mio avviso un’annata di quelle che molti hanno riscoperto solo dopo anni, poiché nella fase iniziale, penso soprattutto ai tanti assaggi fatti in Langa, dava vini molto essenziali, senza smancerie, diretti e molto veri, territoriali, un’annata che potremmo definire classica (oggi sempre più rara). Anche il Montebuono rientra in quest’ottica, con tutti i suoi tratti caratteristici comunicati senza strillarli ma con una notevole progressione dove vince l’eleganza rispetto alla potenza.
PS: chi conosce Sandro Sangiorgi sa bene che è un personaggio particolare, dalla capacità narrativa indiscutibile, ma anche amante delle sperimentazioni. In questa occasione, ad esempio, ha voluto proporre ai partecipanti, di affiancare alla degustazione un estratto da tre lavori di Mozart che, a suo avviso, ben si adattavano ai vini: Il Flauto Magico eseguito dai Berliner Philharmoniker (oggi Berliner Philharmonisches Orchester) sotto la direzione del grande Karl Böhm, un movimento dell’ultimo concerto per piano e orchestra n.27 in si bemolle maggiore K.595, e una serenata di cui purtroppo non ricordo il numero. Con me ha sfondato una porta aperta!
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