di CARLO MACCHI
Come affronta la pandemia e i relativi disagi un ristorante stellato immerso nella profonda provincia piemontese? Lo abbiamo chiesto ai Rinaldi, dal 1956 alla guida de Il Centro, a Priocca (CN).

 

Il Centro è il mio ristorante del cuore. Si trova a Priocca, paesino al confine tra Langhe e Roero. Da anni stella Michelin, il locale esiste dal 1860 ed è gestito dalla famiglia Cordero dal 1956. Nessuno meglio di loro per capire che cosa, con la pandemia, sta succedendo nella ristorazione di alto rango della profonda provincia. Ecco un’intervista a tre voci: il patron Enrico, sua moglie Elide che gestisce la cucina e il loro figlio Giampiero, che da affianca il padre in sala e cura la cantina.

 

Il ristorante è da sempre punto di ritrovo per i produttori di vino e i loro clienti. E’ andata così anche tra il primo e il secondo lockdown?

 

Giampiero: sì. Già quando ho cominciato a lavorare qui il locale lavorava moltissimo coi produttori e oggi ancora di più: arrivano anche da altre regioni come Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e addirittura dalla Borgogna.

 

Con l’attuale suddivisione in regioni rosse, arancioni e gialle, questo tipo di clientela è diminuito?

 

Giampiero: per fortuna no, ora vediamo che succede dopo che da domenica 13 dicembre il Piemonte è tornato in zona gialla. Nel post lockdown la fortuna delle Langhe è stata di avere tanti produttori a sostegno della  ristorazione locale. Ogni giorno abbiamo avuto almeno tre o quattro produttori a pranzo o a cena. Cerchiamo di aiutarci a vicenda, i loroi frequentando i locali  enoi comprando i vini, anche se magari un po’ meno che in passato.

 

Avete notato se tra le due ondate il cliente ha cambiato modo di spendere?

 

Giampiero: il livello di spesa non è cambiato quasi per niente, però è cambiata la richiesta di vino. Prima del lockdown si vendevano soprattutto vini piemontesi e di Langa, mentre dopo, a “confini chiusi”, molti clienti di zona hanno cominciato a ordinare vini di fuori regione.

 

Con il Covid è cambiato qualcosa in cucina?

 

Elide: no, nulla. Abbiamo voluto mantenere la stessa qualità, anche se se le difficoltà sono aumentate. Non sapere mai se e quando si potrà lavorare crea problemi negli acquisti e nella gestione, ma noi abbiamo sempre mantenuto i nostri piatti, un mix tra tradizione e innovazione. Ove possibile, abbiamo anzi cercato di offrire qualcosa in più. Inoltre abbiamo deciso di non fare asporto. Per vari motivi: in primo luogo siamo in un piccolissimo centro, non avremmo bacino di utenza. Poi fare pietanze da portare via voleva dire creare dei piatti più semplici, che difficilmente avrebbero rispettato il nostro standard. Infine, consegnare piatti destinati ad essere riscaldati non ci sembrava la strada giusta per valorizzarli. E avevamo pure il dubbio che fosse economicamente sostenibile.

 

In pratica, siete rimasti a lungo chiusi. Con il personale come avete fatto?

 

Elide: adesso ci stiamo preparando a riaprire, anche se nessuno riesce a darci indicazioni certe. Dei dipendenti, chi poteva è tornato a casa, chi veniva da molto lontano si è fermato a Priocca e sono tutti in cassa integrazione. E noi è dai primi giorni di novembre che siamo chiusi. Chiusi, ma non fermi: abbiamo sistemato le sale, riordinato la cantina e fatto con calma tanti lavori che andavano comunque fatti.

 

Domandona: se foste Presidente del Consiglio quale sarebbe la prima cosa che fareste?

 

Elide: innanzitutto non andrei a chiudere a settori. Prendiamo una famiglia tipo: il bambino piccolo va a scuola perché, dicono, non può essere contagiato. La mamma magari lavora in un ristorante e quindi è a casa perché il locale è chiuso. Il papà lavora in fabbrica e esce tutte le mattine incrociando tantissime persone sui mezzi pubblici e al lavoro. Che senso ha far chiudere i ristoranti se comunque la stragrande maggioranza delle persone può girare, contagiare e contagiarsi? Farei un lockdown totale per azzerare i contagi e basta.

Enrico: avrei tenuto aperti i locali che erano a norma e in sicurezza. Nei paesi piccoli come il nostro abbiamo fatto carte false per far arrivare persone da fuori e poi ci chiudi per mesi, però nella grandi città se succede qualcosa, tipo se vince la squadra di calcio, ci sono enormi assembramenti.

Giampiero: da una parte concordo con mia madre. Avrei però tenuto aperte solo le realtà che potevano essere controllate e che applicavano le regole alla lettera. Magari avrei anche ridotto ancora la capienza dei ristoranti, ma senza chiuderli perché non ha senso vedere piazze stracolme di persone e noi dover attenti al metro o due di distanza. Non avrei riaperto le scuole e avrei potenziato i mezzi pubblici, diminuendone la capienza. E’ assurdo chiudere i ristoranti e lasciare aperte le metropolitane.

 

Pubblicato in contemporanea su