L’Italia litiga sulle buste, o sacchetti, o shopper di plastica biodegradabile con una confusione concettuale che lascia allegramente sgomenti.
Le polemiche sul costo per il consumatore sono ridicole, perchè alla fine la spesa si ridurrà in un anno intero a quella decina di euro per la quale nemmeno l’ultimo dei morti di fame batte ciglio, quando si tratta di fulminare la stessa somma in uno spritz di quarta.
Mi paiono molto più seri, se confermati, i dubbi sui beneficiari economici dell’operazione, visti i tempi e i modi e le aziende e le persone e i partiti e i politici attraverso i quali la faccenda è transitata. Ma siamo in campagna elettorale permanente e la buccia di banana plutoambientalista di Renzi potrebbe comunque tornare utile per allentare l’attenzione sul caso Boschi.
Personalmente trovo assai più insopportabile l’ennesima dimostrazione dell’italica vocazione per l’ufficio complicazione affari semplici e la rassegnazione dei connazionali al cospetto del medesimo. Tra l’insopportabile e divertente si collocano invece le ritorsioni vagheggiate dai cittadini: dall’appello al boicottaggio alla trovata di pesare e bollare una per una arance, albicocche e cipolle.
Poi c’è la comica della vera o presunta non riutilizzabilità. Già mi prefiguro occhiuti controllori aggirarsi attorno ai banchi frutta per esser certi che il vecchino, da sotto l’impermeabile, anzichè altro non estragga un sacchetto galeotto.
Intanto uno stimabile amico, nonchè profondo conoscitore dei meccanismi agrortofrutticoli, mi tagga con una nota che per brevità sintetizzo. Prima – dice – mettevamo la frutta dentro a un sacchetto e pagavamo quei 5 grammi al costo del contenuto: poco se c’erano patate, carissimo se c’erano ciliege. Oggi quel sacchetto lo pagheremo a prezzo fisso. Però nessuno si chiede quanto è stato pagato all’agricoltore il contenuto del sacchetto. Magari le arance vendute a 2 euro sono state pagate al produttore 20 centesimi. Complimenti a tutti per aver visto il dito invece della luna!.