Battaglia (dialettica) tra “giganti”: il presidente del sindacato dei giornalisti, Franco Natale, accusa il ministro di aver usato frasi a effetto sul precariato per farsi notare. Proprio quello che fa adesso la Federazione sul medesimo tema, dopo aver per decenni ignorato i problemi dei non contrattualizzati e avendone così perduta la fiducia.
Non c’è dubbio che l’uscita del ministro Brunetta sui precari sia stata politicamente inopportuna. Anzi un vero autogol, visto che la categoria è tra quelle che, a torto o a ragione (secondo me ambedue), sono al centro di forti rivendicazioni sociali e della massima attenzione da parte dell’opinione pubblica.
Detto questo, suona però anche abbastanza surreale che, cavalcando questa tigre piovuta per caso dal cielo, nel goffo tentativo di riacquisire credibilità agli occhi di chi, i precari appunto, per decenni è stato trattato da appestato, anzi da soggetto sindacalmente inesistente, il presidente dell’Fnsi, cioè il sindacato dei giornalisti (settore in cui il precariato abbonda) se ne esca con una dichiarazione simile: “Vergognose frasi ad effetto per riguadagnare spazio sui media. Gli insulti del Ministro Brunetta ai precari – continua Roberto Natale – sono una evidente dimostrazione dell’abisso che separa una certa politica dai problemi drammatici della società italiana. Anche nell’informazione c’è un crescente, devastante peso della precarietà: migliaia di colleghe e colleghi che un lavoro ce l’avrebbero pure, solo che vengono ricompensati dagli editori con retribuzioni da fame. Anziché pronunciare frasi ad effetto, buone a riguadagnare titoli di giornale per uscire da una crisi di astinenza, chi ha responsabilità di governo dovrebbe impegnarsi piuttosto per ottenere che in Parlamento arrivi ad essere approvata la proposta sull’equo compenso per il lavoro giornalistico che può contare su un sostegno bi-partisan”.
A parte il fatto che equo compenso del lavoro giornalistico e precarietà dello stesso sono cose fatalmente collegate, ma anche assolutamente diverse, si dà il caso che come scrive Pietro Ichino (e come io commento qui), nel grande calderone ricadano due categorie diverse (i titolari di partita iva create allo scopo di camuffare un rapporto di lavoro dipendente e i precaritecnicamente intesi) e che la la differenza tra le due non stia solo nel trattamento, ma anche e soprattutto nelle prospettive: “I falsi autonomi’ – spiega il senatore del Pd – sono il doppio se non il triplo dei contratti a termine; e tutti i dati disponibili stanno a indicare che i titolari di contratto a termine hanno buone probabilità di passare al lavoro subordinato regolare a tempo i mentre i ‘falsi autonomi’ hanno una bassissima probabilità di ottenere questa ‘promozione”.
Dunque, quale delle due “migliaia” avrebbe ora bisogno lei pure delle graziose attenzioni dei sindacalisti, senza invece riceverne alcuna? E quante ambedue ne hanno avute finora, a parte gli ultimi dodici e inutili mesi di campagna (ri)acquisti circumcongressuale?
Vi ricordate, al liceo, le lezioni di matematica sulle proporzioni: A:B = B:C? Ecco, i precari (tra cui, fantasiosamente, contro ogni logica l’Fnsi insiste nel collocare anche i liberi professionisti) costituiscono il medio proporzionale tra il ministro Brunetta e la Federazione della Stampa. Dove il segno “:” sta appunto per abisso. Figuriamoci come siamo messi.