E’ scomparso oggi a Venice, in California. Aveva 74 anni. I tratti duri e taglienti del suo viso hanno attraversato cinquant’anni di cinema americano. Tutti lo ricordano come l’eroe dei bikers hippy, ma il mio personaggio preferito resta il fotoreporter pazzo del capolavoro di Francis Ford Coppola.

Troppo facile ricordarlo nelle immagini viste mille volte in “Easy Rider”, a cavallo del suo chopper. Meglio pensare al lui nelle immagini parimenti note, ma forse meno oleografiche, di “Apocalypse Now” di dieci anni dopo (ma parevano secoli), il capolavoro di Francis Ford Coppola in cui Hopper interpretava il fotoreporter “embedded” tra i guerriglieri alla guida del colonnello Kurtz, tra i fiumi di sangue al confine tra Camboglia e Vietnam. Indimenticabili i dialoghi-monologhi tra lui e il capitano Willard, prigioniero nel quartier generale del disertore da eliminare per i suoi metodi divenuti “insani”. Reflex al collo, pezzuola attorno alla fronte, Dennis Hopper incarnò quella volta la figura che forse meglio si adattava anche alla sua carriera di attore, star-non-star, un po’ integrato e un po’ emarginato, dal carattere difficile e spigoloso. Aveva cominciato nel 1955 accanto a James Dean in “Gioventù Bruciata” ed era diventato famoso. Ma, forse, mai un divo.