Nonostante la crisi, il covid, zero ristori e totale buio sul futuro, per il 2021 lo Stato pretende dai freelance un “acconto” dell’88% (otto-otto) sull’iva dichiarata nell’ultimo trimestre del 2019. E’ accettabile?
Qualunque libero professionista, giornalisti compresi, sa che la sua è, sotto il profilo delle entrate, un’attività per definizione discontinua.
In altre parole per un freelance è difficile, e a volte impossibile, sapere quando (e spesso pure se) si sarà pagati. Insomma tutto il contrario di chi riscuote il classico stipendio mensile.
Ne conseguono bilanci, conti correnti, flussi di cassa quanto mai mutevoli e imprevedibili, condizionati dalle circostanze e dalla congiuntura.
Accade ad esempio di incassare fatture dopo mesi e mesi dall’emissione, perdendo quindi la valuta sull’iva anticipata e accollandosi tutti i disagi pratici che un lungo, ritardato pagamento può comportare.
E accade, proprio per evitare di anticipare l’iva, di fatturare solo nel momento in cui fisicamente si riscuote la somma pattuita. Il che di solito avviene dopo molti solleciti e quindi, spesso, negli ultimi mesi dell’anno. Nei quali, di conseguenza, tende a concentrarsi il “fatturato” del libero professionista.
Oh, eccoci al punto.
Chiedo: in questo quadro, che la politica e la pubblica amministrazione conoscono benissimo, è accettabile, diciamo pure civile, o perfino sopportabile che il sistema fiscale mi chieda “un acconto” sull’iva dell’anno nuovo?
Un acconto, cioè, non solo su introiti del tutto virtuali – che cioè oggi non si possono minimamente prevedere nè sull’an, nè sul quantum – ma calcolati sull’88% dell’iva dell’ultimo trimestre dell’anno precedente, quello in cui oltretutto, come detto sopra quasi sempre si concentrano gli incassi e quindi le fatture e che proprio per questo non rappresenta minimamente un “campione” del flusso annuale degli introiti ?
Non è tollerabile, ovviamente. Ma accade.
Accade pure in un anno come il disgraziato e pandemico 2020 quando, anche nel miracoloso caso in cui uno sia riuscito a fatturare e ad incassare qualcosa, già si ha praticamente la certezza di non incassare nulla nell’anno a venire, vista la catastrofica crisi economica provocata dal covid, dal fallimento di aziende, dalla scomparsa di committenti, dalla riduzione o dall’azzeramento dei compensi, dal taglio dei budget, dalla revoca di incarichi professionali, dalla soppressione di rubriche, dalla chiusura di giornali, dalla sospensione di interi settori di attività e perciò della cronaca e della pubblicistica che li riguarda.
Eppure, in questo quadro sconfortante, lo Stato, che neppure mi ha “ristorato” di alcunchè negli ultimi sei mesi (sollevando la “perplessità” del sindacato, questo va detto, roba da far tremare i polsi anche a Putin) ha la faccia di bronzo di chiedermi, per soddisfare i suoi clientelari fabbisogni, di “anticipare” l’88% dell’iva.
La mia, li avviso, la vedranno col binocolo.
E se poi manderanno l’ufficiale giudiziario a pignorarmi il divano, facciano pure: per campare è possibile che abbia già venduto anche quello.