VIAGGI & PERSONAGGI, di Federico Formignani
Giancarlo Salvador (oltre che musicista e vecchio amico) è un “veneziano dalla lunga barba e dalla capigliatura arruffata“. Se in molti amiamo il deserto e la vita che c’è, è colpa sua. E dell’Harmattan.

 

Mi torna in mente la risposta che mi ha dato Giancarlo Salvador, in un viaggio algerino di tanti anni fa, quando ho avuto la dabbenaggine di chiedergli se per lui i viaggi fossero diventati routine o, peggio, un sistema collaudato per far soldi: “Che te ne fai dei soldi quando ti trovi sotto le stelle del Sahara, quando ti bastano gli occhi e stai d’incanto?”.
Aveva ragione: il deserto è bello anche di notte; a tratti inquietante. Malgrado il buio, merito del cielo stellato e della luna quando c’è, è possibile distinguere le ombre delle rocce, delle dune e i pallidi chiarori delle tende dell’accampamento, che si muovono appena con la brezza.
Al mattino, le tracce della vita. Le impronte nette lasciate dalle creature del deserto sulla sabbia ancora fredda, sono tantissime. Coleotteri, vipere cornute, varani grigi, lucertole, topini saltatori, fennec (le piccole volpi del deserto); qualche sciacallo, cammelli e dromedari in libertà e la gazzella dorcas, vera regina delle grandi distese. Al momento della colazione, a pretendere la sua con simpatica sfacciataggine, ecco il diffusissimo mula-mula, un uccellino nero dalla testa bianca, amico e portafortuna di ogni viaggiatore sahariano.
Non nascondo che gran parte del mio innamoramento per il deserto è dovuto a questo veneziano dalla lunga barba e dalla capigliatura arruffata che si muove sempre con studiata lentezza perché nel deserto non c’è fretta, perché è una terra che per essere apprezzata impone ritmi lenti, azioni riflessive, decisioni ponderate. Giancarlo Salvador è un Marco Polo moderno che porta con sé in ogni viaggio gente che ha la sua stessa inesauribile voglia di conoscere e di godere situazioni materiali e spirituali ben difficilmente presenti nella vita di tutti i giorni. Dice: “Spesso mi sono chiesto perché mai il deserto sia così sconvolgente, così unico, così profondamente intrigante; ne ho visti tanti, ma il Sahara è come il primo amore: ti succhia il cervello, ti ruba la vita. Il Sahara è un gran pezzo di donna da amare e da odiare. Sahara senza mezze misure: tutto o niente, gioia o dolore, vita o morte”.
È profondamente vero ed è una verità che ha mille facce, comprese quelle della Fata Morgana. Nel deserto le distanze perdono profondità. Guardando all’orizzonte un rilievo o una catena di monti, sembra di doverci arrivare in breve tempo con il fuoristrada che sgomma veloce sul letto dello wadi, invece non si arriva mai; il fiume senz’acqua è largo, bianco di pietre, di sabbie e di rari cespugli assetati e spinosi. Lontano, ai piedi del punto di riferimento scelto, strisce orizzontali azzurre si allungano sul terreno: dapprima tremolanti, quindi sempre più nette. È un miraggio che si materializza sotto gli occhi sino a formare un vastissimo lago sulle cui acque inesistenti si riflettono, capovolte, le cime seghettate delle montagne a disegnare le guglie di una cattedrale. Nel deserto algerino si incontrano realtà geologiche, aspetti fisici del territorio e per conseguenza panorami, tra loro diversissimi. È un mondo geologicamente molto antico. Vi sono rocce, ghiaie, montagne di sabbia e sedimenti compatti. Nell’epoca terziaria e quaternaria l’erosione massiccia, prima delle acque e quindi dei venti, ha modellato il paesaggio dei nostri giorni, nel quale è possibile leggere con chiarezza ed estrema precisione, gran parte della lunga storia della Terra.
Qualche migliaio di anni fa, quasi tutto il territorio sahariano era coperto da un manto vegetale; in seguito, il progressivo inaridimento di questa vasta area ha portato alla desertificazione attuale.
Gli wadi, secchi e larghissimi, non di rado conservano vene d’acqua sotterranee che consentono la vita in superficie di una limitata vegetazione. Gli alberi che si incontrano più comunemente sono la tamerice, l’acacia radiana e la callotropis procera dalle grandi foglie verdissime; ma si possono trovare anche alcune piante di olivo selvatico e, nei monti del Tassili, una specie di cipresso (cupressus dupreziana); alcuni esemplari di quest’albero superstite dell’originaria flora sahariana sono vecchi di migliaia d’anni. Vicino alle zone rocciose ricche d’acqua, è comune l’oleandro dagli splendidi fiori, mentre la palma da dattero, alla quale si accompagnano quasi sempre alberi da frutta e campi di ortaggi, si trova nel sud, specialmente a Djanet, che è una delle oasi più estese e densamente popolate. La vegetazione essenziale presente nelle ampie distese di sabbia, sassi, pietrame è data dall’alfa, dall’artemisia, dall’aristida giallognola e dalla coloquinta, una zucchina rotonda di diverse misure che davvero non si capisce come possa svilupparsi in condizioni tanto estreme di clima e di limitatissima presenza d’acqua. Questi piccoli vegetali, simili a cocomeri in miniatura o a zucchine rotonde dalla buccia a strisce verde scuro e verde chiaro, testimoniano, senza ombra di dubbio quanto la vita, in tutta la sua forza prorompente, sia di casa anche nelle grandi distese desertiche dell’Algeria del sud, dove spesso imperversa l’Harmattan, il vento preferito di Giancarlo Salvador: “Nessuno si muove come Harmattan. Nessuno vola, corre, sfiora, muove il deserto come il vento; fermarsi è come morire; e Harmattan si muove per sentirsi vivo”.