Sarà capitato anche a voi di leggere qualcosa e di trovare citate opere letterarie che suscitano il vostro interesse. A volte, andare a cercarle è come fare un nuovo viaggio.
Non so se cento, duecento, trecento anni fa, per affrontare certi viaggi ci volesse davvero lo stesso mostruoso coraggio che oggi, quando leggo le cronache di quelle spedizioni, mi parrebbe indispensabile avere.
O se, forse, allora fosse solo più acuto quel fatalismo e quel senso di fragilità, anzi di precarietà dell’esistenza che tendenzialmente induce ad affrontare i perigli sì con consapevolezza, ma pure con una levità maggiore di chi, partendo, ha invece la sensazione di lasciarsi alle spalle valori, interessi, affetti, vite troppo grandi per essere, appunto, lasciati.
Che si trattasse di puro ardimento o di più complesse motivazioni socioculturali, resta il fatto che rileggere il resoconto di certe imprese lascia a volte davvero sbigottiti.
Perchè non si tratta di romanzi, ma di storie vere.
E non penso tanto a chi aveva forti stimoli spirituali, come i missionari, o economiche, come alcuni avventurieri, o scientifiche, come molti esploratori. Nè ai diseredati o agli ambiziosi, che il bisogno o le illusioni trasformavano quasi fatalmente in uomini senza remore.
Penso invece a chi, al cospetto dell’enormità dei rischi che affrontava e al modo in cui avrebbe dovuto affrontarli, aveva in fondo ancora qualcosa da perdere: sottufficiali, bassi ufficiali, cadetti, commercianti o anche solo padri di famiglia.
Di figure di questo stampo, inghiottite dalla storia, ce ne sono state di sicuro migliaia.
Molte di loro hanno anche lasciato, per fortuna, tracce, scritti, memoriali.
Qualcuno, miracolosamente rientrato a casa (per poi, spesso, riespatriare lasciandoci talvolta la vita), dai ricordi ha ricavato libri di successo, a loro volta inghiottiti però dal tempo trascorso, dall’oblio o semplicemente dalle mancate riedizioni. Qualcuno invece ha tratto dal proprio coraggio e dalla buona sorte i frutti per fare straordinarie carriere.
Uno a cui il destino riservò ambedue le cose – successo letterario e soddisfazioni professionali – fu l’inglese (nordirlandese, per la precisione) Henry Pottinger.
E’ passato alla storia per essere stato prima plenipotenziario di sua Maestà Britannica in Cina (1841), poi come vincitore della Guerra dell’Oppio (1842), quindi come governatore di Hong Kong fino al 1844 e infine di Madras (1847).
Un personaggio di prima grandezza che però, dal mio punto di vista, visse da giovane la parte più incredibile della sua vita.
Fu quando, tra il marzo e il luglio del 1810, per conto dell’esercito viaggiò a piedi, travestito da viandante, per i 3.860 km (tremilaottocentosessanta) che separavano Nushki (Belucistan) a Isfahan (Persia centrale), in una zona ostile, pericolosissima, praticamente inesplorata dagli occidentali. Nessuno, per più di un secolo, ci avrebbe riprovato.
Non mi ero dimenticato di Pottinger, ma onestamente mi ero scordato del suo libro del 1816 quando, tempo fa, mi sono riaddentrato nella lettura di un altro imprescindibile volume, “Il grande gioco” di Peter Hopkirk, fonte tuttora indispensabile per chi voglia comprendere le radici di quanto oggi sta accadendo in Asia centrale.
Ecco, lì ho ritrovato “Viaggi in Beluchistan e Sindi“.
L’idea di procurarmelo è stata subitanea.
Breve ricerca e scopro che l’originale è, ovviamente, rarissimo e carissimo. Che ne esistono alcune ristampe anch’esse care e piuttosto difficili da reperire, tranne un’edizione digitale da pochi euro che in pratica è la scannerizzazione e successivo passaggio in o.c.r. (optical character recognition) del testo originale. Ne esce un volumetto spoglio, stampato e impaginato in modo (diciamo) sbrigativo e anzi non impaginato affatto, con colonne fittissime e caratteri piccolissimi.
Ma ciò quasi accresce il godimento, perchè il libro mantiene in tal modo la struttura lineare, senza scansioni nè ripensamenti. Non ti ci puoi orientare, puoi solo leggere.
Lo scrupoloso e generoso stampatore fa perfino una premessa e dice: “This historic book may have numerous typos, missing text or index. Purchasers can download a free scanned copy of the original book (without typos) from the publisher“.
Insomma un’operazione d’affezione, quasi.
E ora che, armato di lente di ingrandimento, sto procedendo alla entomologica compulsazione del racconto, al cospetto dell’enormità dell’impresa mi sento perfino più piccolo del microscopico font usato per la stampa.
Ma neppure questo nuoce: quanto minori sono le tue dimensioni, tanto più lunghe sono infatti le distanze e più ampi gli spazi per viaggiare.
E ne “Il Grande Gioco” ho individuato almeno altri tre tomi che mi devo procurare.