Mi dicevano che era buonissimo ma, anche se già apprezzavo i formaggi del produttore (nel Parco Naturale della Maremma), non credevo che il sentore dell’origine ovina potesse essere del tutto cancellato. Mi sbagliavo: è superlativo. Ed è pure bio.

 

Dicono che l’assassino torni sempre sul luogo del delitto, solo che in questo caso del delitto io sono vittima e non solo autore. E  il delitto in questione, in fondo, è solo un peccato. Di gola, oltretutto.
Ma, nel suo genere, grave. Anzi gravissimo.
Insomma è successo che ho saputo che un valente produttore maremmano di pecorino, da me già positivamente recensito (qui) un annetto e mezzo fa, si era messo a fare lo yogurt di pecora e che il risultato pareva interessante.
Potevo astenermi dal visitarlo, visto che mi trovavo nei paraggi, ovvero ad Alberese, dentro il Parco della Maremma?
No, non potevo. E già che c’ero, a dimostrazione che le gelosie professionali sono spesso ridicole fisime, mi sono portato dietro a testimone qualche amico e collega, come in un’allegra scampagnata.
Ebbene: dopo averci invogliato coi suoi sempre eccellenti caci, Daniele Francioli, patron dell’Agrobiologica Le Tofane ha tirato fuori dal frigorifero il pezzo forte, ovvero lo yogurth di pecora (Sarda e Lacaune, per la precisione). In versione a suo dire sperimentale, visto che in commercio non c’è ancora anche se presso il caseificio lo si può già comprare.
Ora, avendo io una certa frequentazione di pastori, allevamenti e formaggi, dubitavo un po’ delle assicurazioni dell’amico autore della soffiata sul fatto che il prodotto, a suo dire buonissimo, non avesse sentore alcuno, nè al naso e nè al palato, dell’origine ovina.
Ebbene, con condiviso stupore abbiamo dovuto prendere atto non solo che di detti sentori non c’è minimamente traccia, ma che lo yogurt è di una bontà pazzesca: delicatissimo, fragrante, di una cremosità assoluta e morbida, più soda del previsto ma di suadente scioglievolezza. Sapore in equilibrio perfetto tra gusto e carezza, che risalta in tutte le tre versioni assaggiate: naturale, alle more e alle albicocche (di produzione biologica propria, ovviamente).
La mia preferita è la prima, ma i giudizi qualitativi sono stati equamente divisi tra i presenti. I quali, alla faccia degli assaggi, hanno spazzolato tutti i vasetti messi in tavola, con raschiamento del fondo col cucchiaino.
Il peccato di gola, però, non è stato questo.
E’ stato che ne avevo comprato per casa quindici confezioni: sono passate nemmeno diciotto ore e, nonostante la notte nel mezzo, non ne è sopravvissuta neppure una.
Gli yogurtisti compulsivi sono avvisati.