A Firenze un convegno su “presente e futuro dell’informazione cartacea” annovera 3 (tre) spettatori. Oltre a dare la colpa agli organizzatori, forse qualche domanda bisogna farsela.

 

Talvolta si verificano fatti infinitamente più espliciti della teoria.

Attorno all’informazione, ad esempio, si fa un gran parlare. Ma la verità è che non gliene frega niente a nessuno. Salvo nei casi in cui (ed è la sola ragione del parlarne) l’argomento non sia strumentale a fini di qualche propaganda.

Del totale disinteresse, del desolante isolamento e quindi del deprimente senso di solitudine che ormai a ogni livello avvolge la filiera editoria-giornali-giornalismo tradizionali sono consapevole da tempo. L’ultima volta ne ho (ri)preso coscienza l’estate scorsa quando, in una giornata ad hoc durante gli Stati Generali dell’Informazione, in una sala di Montecitorio da trecento posti ci ritrovammo in qualche decina per una riunione “intima” e orfana (per ovvie ragioni politiche, che non commento) di Odg e Fnsi.

Intimità della quale lo stesso sottosegretario Crimi ebbe giustamente a lamentarsi (per cronaca e contenuti della giornata leggere qui).

Giorni fa è accaduto però qualcosa di ancora più illuminante.

E ad aprirmi gli occhi sul paradosso di un evento rivelatosi un fiasco, proprio perchè gli unici a mancare erano i beneficiari dello stesso evento, è stato l’organizzatore, cioè il teorico responsabile di un imbarazzante flop da cento sedie, sei relatori e tre (t-r-e) spettatori.

Ero stato infatti invitato a Firenze per moderare un talk show che, almeno per gli addetti ai lavori, si preannunciava di un certo interesse: “Stampa periodica: presente e futuro dell’informazione enogastronomica cartacea“, con i direttori e i caporedattori di importanti testate nazionali di settore.

Già nelle more però, paventando un sempre più evidente no show, coi colleghi si parlava del senso di isolamento che, a ogni livello – istituzionale, politico, economico, professionale – proviamo tutti noi della stampa cartacea e del distacco ormai palpabile dalla stessa base dei giornalisti. Della sensazione, cioè, che l’editoria specializzata tradizionale sia considerata una partita persa per sempre, un caso chiuso.

Mai però alla fine ci saremmo davvero aspettati di non trovare pressochè nessuno ad ascoltarci.

Ora, facciamo pure la tara sulle sicure carenze organizzative: giorno, orario, scarsa pubblicità, cattivo tempo, etc che certamente hanno avuto il loro peso.

Mi ha scritto però, a mente fredda, l’organizzatore: “Mi resta soprattutto l’amarezza di (non) aver visto i colleghi, uffici stampa, addetti ai lavori. Mettendomi nei panni di chi tutti i giorni si occupa di editoria, invia comunicati stampa e/o cerca contatti con le redazioni, sapendo che a Firenze c’era un simile parterre de roi mi sarei fiondato in prima fila persino in anticipo per non rischiare di restare in piedi. Invece, evidentemente, devo aver sopravvalutato la categoria. Dov’erano quelle decine che ogni giorno ci scrivono, invitano, sgomitano per avere un articolo, ecc…? Forse sbaglio anche a chiedermelo o a cercare spiegazioni“.

Su questo il mio amico ha ragione.

La spiegazione che cerca è già nei fatti: cioè nell’evidenza che proprio gli addetti ai lavori sono i primi a non provare più alcun interesse per le dinamiche del loro lavoro e per la nuvola di cui fanno parte. Predominano il totale individualismo a fronte di un contesto in cui il giornalismo cartaceo è avvertito come una sorta di malato terminale. Terminale al punto di non necessitare neppure di cure palliative o di morfina. Un morto che cammina. Un paziente agonizzante. Una mummia.

Mi pare una cosa grave. Anzi, gravissima.

La chiamerei una dissoluzione. Cercare le cause della quale è ormai tanto inutile quanto sterile.

Chiediamoci piuttosto se pure per il domani si debba già rassegnarsi o si possa ancora trovare qualche via d’uscita perchè, in fondo, le aziende editoriali (a nostre spese) sopravvivono e rappresentano comunque una voce importante dell’economia. Provare a individuare percorsi rivolti a un futuro praticabile, anzichè al passato, potrebbe risultare utile a parecchi livelli.