Nella Caporetto senese c’entrano di più gli innegabili maneggi finanziari della politica o il tramonto di un buon senso di provincia scaduto nel tempo, senza rendersene conto, in una presuntuosa dabbenaggine?

Non sarò certo io a buttarmi a pesce nelle speculazioni politiche, le dietrologie, gli squallori e gli scandali finanziari che stanno dietro alla catastrofe sociobancaria senese. Una catastrofe la cui portata va ben oltre gli apparenti effetti economici e recessivi in una delle tante città di provincia italiane.
Non sarò io sia perchè c’è gente che sull’argomento è molto meglio informata di me, sia perchè per farsi un’idea basta scorrere i titoli della stampa nazionale, sia perchè Siena è comunque la mia città e il sentimento di rammarico per quanto sta succedendo prevale su quello, pur forte, di rabbia verso le malefatte che da decenni erano sotto gli occhi di tutti. Ma che quasi tutti o comunque molti, ipocritamente e opportunisticamente, hanno fatto finta di non vedere.
Perchè quello che sta crollando – e nemmeno del tutto, considerato come le incrostazioni di un potere illusoriamente dato, da parte di chi lo detiene, per acquisito in eterno e non evincibile, continuano per inerzia a pesare sui modi di agire di una comunità che pare stordita e quasi inconsapevole del diluvio alle porte – non è solo un “sistema”. Quello ormai universalmente noto come il “sistema Siena“.
E’ l’eclissi di un mondo. Di un modello culturale. E di una “diversità”, vera o presunta che fosse, quasi etnica.
Da tempo il Monte dei Paschi e il complesso apparato politico-istituzionale che gli stava (perdonate l’inevitabile gioco di parole) a monte, ovvero la filiera comune-provincia-fondazione-università-ospedale-sindacato, avevano cessato di essere “senesi” ed erano diventati “politici“.
Oddio, non che prima le marezzature politiche non ci fossero. Ma le due componenti convivevano in un equlibrio opportuno e necessario, legittimandosi e sostenendosi reciprocamente. In questo consisteva, forse, il “miracolo” del modello senese.
Poi le cose sono cambiate.
Se per colpa di un destino cinico e baro, per scelta, o perchè determinate da eventi e poteri più grandi, non lo so.
Il fatto grave, dal mio punto di vista, è che tutti ne erano consapevoli, ma nessuno si è accorto (o perchè non ne è stato capace, o perchè ha calcolato che non gli conveniva accorgersene) dell’enormità di quanto, giorno dopo giorno, anno dopo anno, stava accadendo. E che quindi, sottovalutando gravemente e a lungo gli scricchiolii sinistri, i fumi e i cattivi odori che preannunciavano l’affiorare del marciume latente, il popolo bue ha finito e perfino adesso continua ad assecondare la marcia degli autisti che stavano portando e hanno portato nel burrone la corriera.
Il vero male di Siena è oggi la trasversalità, che non a caso percorre le crisi della banca, del comune, dell’economia.
E il dramma è che probabilmente la città non è capace di vivere senza quella trasversalità, perchè quasi nessun senese in età da lavoro è nato prima che quella trasversalità diventasse stile di vita.

PS: e pensare che nemmeno un anno fa si piangeva (vedi qui) sulla perdita del controllo azionario sulla banca…