La Mens Sana perde d’un soffio l’ottavo scudetto consecutivo e si dissolve. La Robur sfiora i play off per tornare in A e scompare dopo lunga agonia. La crisi del sistema inghiotte lo sport senese. Che ha vinto sul campo e ha perso in politica e finanza.

Non mi piace la pallacanestro e non l’ho mai seguita. L’unica partita – epica, in verità! – che ho visto in vita mia fu nel 1973, quando un’incredula Mens Sana (all’epoca non c’erano gli sponsor) fu promossa in serie A. Un sogno per la provinciale città di Siena. Palazzetto pieno, follia collettiva.
Poi un onesto trentennio di pendolo tra A1 e A2, il primo titolo e quindi i sette scudetti consecutivi, che ho però vissuto con distacco per la detta scarsa passione verso questo sport e soprattutto per un certo pregiudizio, mai meglio coltivato devo dire, nei confronti degli onori di cui il “sistema Siena” si faceva bello, appendendosi al petto i titoli sportivo/dimostrativi che parevano croci di cavaliere sbattute in faccia al principe di Salina. Doping emotivo e finanziario, o viceversa, ad usum populi.
Poi il fallimento noto a tutti.
Il calcio, anche per lavoro, l’ho seguito assai di più. Anni e anni in tribuna stampa. Ricordo la telefonata del Giornale che mi chiese la disponibilità a seguire la squadra salita contro ogni previsione in serie B. L’anno dopo, in A. Miracolo. I fasti un po’ naif di Paolo de Luca, i primi scricchiolii con Lombardi Stronati, l’obliquità di Mezzaroma, la retrocessione e l’immediata risalita, quando però le crepe nell’architettura politica e economico-finanziaria della città – architettura di cui lo sport era uno dei pilastri – erano già larghe. Si torna in serie cadetta.
La storia recente è nota. Senza penalizzazioni, durante l’ultimo campionato, una Robur 1904 che si paga il pranzo prepartita di tasca e non ha i soldi per l’hotel del ritiro, che svende i giocatori per far cassa, sarebbe finita seconda e, chissà, magari l’avrebbe perfino sfangata nei play off. Seguono tentativi tardivi, imbarazzanti e forse solo simulati, di salvataggio in extremis. Niente da fare, salta l’iscrizione al torneo di B e, ben che vada, si ripartità dalla serie D.
Da senese abituato, per forza e per amore, ad osservare le cose dal di fuori e con il residuo distacco richiesto dalla professione, dico che era difficile, dopo questi anni, ritrovare l’orgoglio di una senesità diluitasi pian piano nel turismo di massa, nelle rovine finanziarie, nell’appiattimento sulla politica clientelare, in un Palio surrettiziamente asservito allo spettacolo e alla tv, nella collusione diffusa e molto ipocrita di larghi strati della cittadinanza con un sistema che ha dato molto e a lungo, ma poi in cambio si è ripreso tutto.
Eppure quest’uscita, patetica per il contorno e gloriosa per quanto fatto sul campo, dallo sport che conta, se certo non lenisce l’ira dei tifosi, riscatta in qualche modo l’onore calpestato.
Tornare nell’ombra potrebbe non nuocere a una città che per troppo tempo ha camminato sulle nuvole senza pensare che sotto c’era il vuoto.
Cor magis tibi Sena pandit“, c’è scolpito su Porta Camollia: “Siena ti apre un cuore più grande di questa porta”.
Parola d’ordine, ricominciare dalla senesità. Quella vera, però. Anche con quei suoi limiti che alla fine sono la ragione di una reclamata biodiversità.