Grazie al “Search Engine Optimization” si avvia a scomparire uno dei cardini della professione: la titolazione basata su arguzia e giochi di parole, che contribuivano a fare la “bravura” di un giornalista. Ora infatti, se fai un titolo “strano”, rischi che Google non ti trovi. E siccome tutto si trova (e ha valore se si trova) in rete…

Non bastavano il CEO (Chief Executive Officer) e tutta l’alluvione di insopportabili acronimi americani senza i quali pare diventato impossibile individuare i ruoli all’interno di una società (ma l’amministratore delegato, il presidente esecutivo, il direttore generale non esistono più?). Ora a confondere le idee alla gente, giornalisti e (soprattutto) lettori compresi, arriva il SEO: ovvero Search Engine Optimization.
Cos’è? E’ il sistema che serve ai motori di ricerca per trovare le pagine su internet. Un sistema che si basa sul significato letterale delle parole. In pratica, un tremendo abbattitore di significati. Un appiattitore. Un vandalo della semantica. Per lui, “palle” è solo il plurale di palla. Non capirà mai che, nel linguaggio quotidiano, può voler dire anche “attributi”. E leggere “vado a palla” per lui non significherà che vado molto veloce, ma esclusivamente che mi muovo verso una palla. Insomma è un ottimizzatore ottuso. Ma siccome tutti lo usano, diventano o sono costretti a diventare ottusi pure loro.
E’ al tempo stesso divertente e sconfortante il quadro, riportato dal sempre ottimo sito di Libertà di Stampa e di Informazione (LSDI: vedi qui) sotto il titolo “Il tramonto dei titoli intelligenti nell’era della SEO“, che riprende un preoccupato articolo David Wheeler apparso sull’Atlantic.
Il concetto centrale è questo: è sempre più inutile scervellarsi, come nei giornali cartacei si fa ogni giorno, per trovare titoli intelligenti e accattivanti, se poi questi devono piegarsi alle esigenze dei motori di ricerca, che procedono per via letterale e quindi non coglieranno mai le sfumature “creative” escogitate dal titolista. Condannando così l’articolo de quo ai bassifondi di Google, in pratica all’oblio, a passare quasi inosservato. Un rischio che spingerà i redattori delle edizioni on line a rititolare i pezzi in modo compatibile con il SEO.
Un fenomeno di per sè deteriore, ma anche il progressiva, forse inarrestabile crescita, perchè, sospinto dall’anagrafe, cresce sempre di più anche il numero dei nuovi giornalisti formatisi in un Seo state of mind e quindi mentalmente “polarizzati” verso titoli ottimizzati in funzione dei search engine.
Le conseguenze sono intuibili. Mancanza di ironia. Seriosità dilagante. Incapacità di sorridere. E un volume di lettori in progressiva crescita che stenta a capire le titolazioni a battuta o addirittura ne è infastidita.
Naturalmente non manca chi si ribella, chi tenta di opporsi. Ma la marea, sospinta dallo tsunami tecnologico, pare inarrestabile. “La rete non ride“, ha chiosato qualcuno.
Saremo sommersi da valanghe di informazioni noiose fin dal titolo e che quindi nessuno leggerà nonostante “galleggino” su Google?
Vedremo.
Io intanto penso all’immagine di certi maestri che facevano i titoli estemporaneamente, contando le battute con le dita della mano e puntando sui doppi sensi, gli accenti, la musicalità delle parole. Altri tempi. Altro spirito.

PS: l’immagine messa in apertura di questo post, più che titoli arguti, riporta infortuni, inciampi, amenità involontarie di cui la storia del giornalismo pullula. C’entra relativamente col tema, ma era troppo divertente per essere accantonata.