Con oggi si chiude e ci si dà appuntamento al 2018: anche per quest’anno la maratona è finita, tra le consuete luci e ombre. Lasciamo da parte (ce ne occuperemo poi) il bilancio tecnico della manifestazione e cogliamone, sorridendo, gli aspetti di costume.

 

 

E’ un evento-monstre che ogni volta viene dato per l’ultimo della serie e che invece alla fine, con tacito sollievo di tutti, risorge comunque dalle proprie ceneri. E al quale, anche quest’anno, come sempre non sono mancati i momenti (spesso involontariamente) tragicomici.
Insuperabile rimane, subito in esordio sabato 11 febbraio, il gioco delle tre carte tentato dalla Regione Toscana per far apparire in nero il bilancio in rosso delle esportazioni vinicole regionali, complice un interminabile fuffa-show affidato allo sproloquiante Klaus Davi: ne è nato un caso giornalistico che rischia di diventare politico, visto che ancora si deve capire qual era la fonte e chi l’interprete delle fantasiose cifre riportate sui comunicati. Brutta cosa, se i numeri fossero taroccati, l’uso anche del vino come leva di propaganda.
Sempre in apertura: meno grave, ma sul piano del costume non meno importante, l’approdo tra i tannini (da non scambiare coi tacchini) delle fashion blogger minigonnate dal bicchiere vuoto ma dal telefonino incandescente. Erano l’avanguardia del popolo sbicchierante e danzereccio che va pian piano conquistando questi appuntamenti, un tempo rivolti solo a sussiegosi addetti ai lavori, dando origine a una sorta di mutazione genetica della gloriosa categoria degli imbucati: se fino a ieri erano i giornalisti non invitati o non accreditati ad essere alla caccia di un pass, ora sono i movidari cronici ad elemosinarne uno dai giornalisti ammessi. Sintomo che il messaggio passato è: non si tratta più di kermesse per specialisti, ma di “feste” più o meno esclusive che ai balli e ai cotillons delle feste vere finiscono per assomigliarci, lasciando le degustazioni a fare da sfuocato, secondario orpello sullo sfondo. Forse sarebbe il caso che i consorzi ci riflettessero un po’. Oppure (come si dice siano già orientati a fare) che scegliessero una volta per tutti la via dell’evento di marketing ad usum populi.
A proposito di inviti: pure quest’anno è stato oggetto dei rituali quesiti insoluti e di indagini esegetiche il criterio scelto dagli organizzatori per il rilasco degli accrediti. Fermo il principio, secondo me sacrosanto, che a casa propria ognuno invita chi vuole e come vuole, resta un mistero perchè gente perbene venga messa alla porta e sedicenti conclamati vengano gratificati da incomprensibili lasciapassare. Ho ancora davanti agli occhi l’immagine tristissima di un esponente dei sedicenti seduto da solo al primo tavolo in sala degustazione, faccia al muro, cellulare in mano, bicchieri tutti vuoti e intonsi tranne quello dell’acqua…boh! In subordine, insoluto pure l’interrogativo del motivo per il quale tra i giornalisti siedano talvolta arcinoti account pubblicitari. O forse è un segreto di Pulcinella.
Colpito e fustigato poi, su FB, un altro simpaticone straniero che, entrato alle 9.30 del mattino e con due giorni a disposizione davanti per gli assaggi del Chianti Classico, alle 9.45 già strepitava lamentando la lentezza (secondo lui) dei sommelier. “Ma che ci vengo a fare, qui?“, berciava. Me lo sono chiesto anch’io e i colleghi che avevo intorno.
L’ultimo spillo lo devo appuntare su Benvenuto Brunello, che chiude oggi. Luoghi e organizzazione più che buoni, devo dire, e quindi nulla di cui lamentarsi. Tranne un dettaglio non da poco. A occhio i vini da assaggiare tra Brunello 2012, Riserve e Selezioni 2011, Rosso, Moscadello e Sant’Antimo, erano oltre 200. Già farcela in due giorni era pura utopia e costringeva a dolorose cernite o a degustazioni parziali. Ma ridurre da due a una le giornate con il servizio al tavolo ha reso fisicamente quasi impossibili anche gli assaggi mirati. Motivazione ufficiale: il secondo giorno serve per “agevolare” nelle altre sale gli incontri tra giornalisti e produttori. Esigenza forse comprensibile, se vista dalla parte di questi ultimi (è a tal fine che la cartella stampa è stata consegnata agli accreditati solo stamattina, mettendo fuori gioco chi non c’era? Se fosse così, sarebbe una brutta idea…). Però mi chiedo: tra convenevoli, presentazioni, salamelecchi, cortesie e chiacchiere, e considerato che ogni produttore ha più vini (che vuole tendenzialmente e spesso insistentemente farmi provare tutti per poi sapere in diretta, mettendomi pure in imbarazzo, che ne penso), quanti se ne possono fare in otto ore? Morale: un’occasione perduta.
Comunque sarà per la distanza geografica, l’acciottolato medievale che non agevola i tacchi a spillo o la mancanza di intrattenimenti danzanti, ma almeno a Montalcino (e neppure a San Gimignano e Montepulciano, se non ho visto male) le fashion blogger non sono arrivate. Quindi tutto è bene ciò che finisce bene.
Ah, nota a margine: non è che  – come qualche malizioso ha insinuato – non mi piacciano le donne, tutt’altro anzi, ma quando lavoro (e assaggiare i vini è un lavoro, almeno per chi lo fa seriamente dedicandoci giornate concitate come le ultime) non vorrei facili distrazioni o subire inutili code in attesa dei comodi di cinguettanti vispe terese alle prese coi selfie…