E’ morto ieri Alan Vega, già cantante dei Suicide. La sua, forse inconsapevole, influenza, è stata enorme. Aveva trasformato i suoni cupi della città in una colonna sonora interiore. E viceversa.

Soundtrack: “Suicide

Non che in italia fosse famosissimo. E forse neppure in patria, almeno in termini di mainstream.
Eppure Alan Vega, scomparso ieri a NY, è stata una figura di primo piano del “rock meno pop” tra i ’70 e il nuovo secolo. Diciamo pure un’icona, se vogliamo buttarla sul mitologico. O un artista oscuro e profondo, se vogliamo invece restare sul musicale senza fronzoli.
Per vent’anni, con Martin Rev ha guidato i Suicide, gruppo decisamente fuori dai canoni, non allineato, controverso, spigoloso, abrasivo, amato o odiato secondo i punti di vista, blandito dalla critica più intellettuale, eccentrico rispetto ai tempi e alle tendenze discografiche. E poi ha continuato da solo, senza cambiare deriva.
Per puro caso (o forse no) l’uscita del loro primo album, nel 1977, coincise con l’esplosione commerciale del cosiddetto punk e a questo fu inevitabile che fosse in qualche modo collegato, dando vita a una scia di fantasiose etichette giornalistiche (pre punk, post punk, new wave, no wave). Nessuna delle quali poteva però calzare al rumorismo melodico del duo, una miscela ossessiva di rock and roll, suoni elettronici, ritmi sintetici, ballate d’amore e incubi esistenziali. Tutto era nato del resto ben prima di quell’anno.
Non sarà difficile, per chi ci legge, capire che abbiamo amato molto Alan Vega e i Suicide.
C’era molto di vero r’n’r nel loro uso palpitante della tecnologia e dei ritmi elettronici. In quel Farfisa ansimante. Nella loro capacità di farcire le comuni canzoni con i rumori di fondo della mente, come esse fossero un sibilo costante, acufeni psichici, ombre costanti, gorgogli intimi. Echi di Velvet Underground e di altre visioni molto newyorkesi, citazioni di varia avanguardia, umori early Seventies. Da loro e attraverso di loro è transitata un’intera generazione di musicisti della Grande Mela, dalle Dolls di Johansen in su.
Alan Vega, in tutto ciò, era il cantante. Ruolo doppiamente difficile. Voce della voce interiore.
La loro influenza sulle generazioni musicali a venire, è stata enorme. Ma chissà fino a che punto Vega ne è stato consapevole o se della cosa gli importasse qualcosa.
Un punto di riferimento ideale per i rock snob, da Lester Bans a Nick Hornby.
E’ morto nel sonno, dicono le cronache. Aveva 78 anni. Si chiamava Boruch Alan Bermowitz.
Ed ovviamente era di Brooklyn.