Il venerato cantautore canadese si è spento ieri all’età di 82 anni. La sua mente era viva, ma era la sua epoca ad essere morta da tempo. Lui ne era il sopravvissuto, un po’ cinico e un po’ malinconico. Che forse presagiva i coccodrilli dedicatigli oggi.

 

Leonard Cohen apparteneva a quella categoria di artisti la cui opera si presta a diversi livelli di comprensione. La profondità dei quali, ovvio, è inversamente proporzionale al numero dei comprendenti.
Per questo non rimpiangerò affatto il Cohen amato dalla moltitudine dei fan accecati dai luoghi comuni e dalle letture superficiali. Da anni ne avevo abbastanza (e non solo nei confronti di LC, sia chiaro) delle vulgate adolescenziali e della retorica deandreiana che in Italia ne avvolgeva la figura, oscurando gli anfratti più ruvidi della personalità dell’artista, le sue molte contraddizioni, il suo ricorrente e neppure troppo dissimulato narcisismo.
Cohen è stato un musicista perfetto per l’epoca in cui ha vissuto. E lui ci si era infatti calato morbidamente, esplorandola in lungo e in largo, trovandocisi benissimo.
No, non è un’accusa. Nè il tentativo di sminuire la sensibilità di un musicista finissimo, cinico e visionario quanto basta, un intellettuale a suo modo organico e pienamente consapevole di sè.
In altre parole, ho amato più la musica di Leonard Cohen – quella ascoltata nel silenzio ovattato di certe camerette o su nastri magnetici fruscianti in cui il rumore di fondo pareva provocato dall’attrito della mente, anzichè dalla scarsa lubrificazione delle boccole – che il personaggio Cohen. O il Cohen letto, parlato, celebrato, magnificato.
Aggiungerlo all’elenco dei morti, in questo 2016 che ne ha visti morire tanti e ha assistito al cortocircuito del Nobel a Bob Dylan, non fa più nemmeno tanto effetto.
Sotto certi aspetti, Cohen era morto da tempo. Galleggiava, baluginava. Gigioneggiava, pure.
Oggi col dito ho passato in rassegna i molti suoi vinili presenti nella mia discoteca.
Ho provato a fare lo stesso coi cd, ma non era la stessa cosa e un motivo ci sarà: non era la qualità della musica, quanto l’intima coerenza del supporto. La musica di Leonard Cohen è musica da LP: grande copertina e foglio coi testi, due lati, la facciata finisce, si comincia con la seconda. E nel mezzo c’è il tempo per pensare. O riprendere fiato.
Poi leggi i coccodrilli che stanno ammorbando i social e i giornali, ad esempio quello odierno sul corriere.it, e torni a pensare alle cose da non rimpiangere.