Le elezioni per gli istituti di previdenza dei giornalisti scattano tra tre giorni. A dare la nausea non sono certamente i candidati (ce n’è di ottimi) ma il sistema, che li costringe ad apparentarsi tra di loro in liste e partiti. Per questo, nonostante tante proposte, non mi sono presentato.
Da lunedì in poi farò il mio dovere di giornalista e voterò per l’Inpgi. Anzi, per l’Inpgi 2, visto che come freelance sono iscritto alla cosiddetta “gestione separata” del nostro istituto di previdenza.
Lo farò con slancio, visto che ho individuato alcuni ottimi candidati, ma pure di malavoglia, visto che anche in questa circostanza prospera la malerba degli apparentamenti politici e correntizi.
Di che parlo? Del fatto che, pur trattandosi di un’elezione individuale – una consultazione in cui, cioè, l’elettore è chiamato a scegliere dei singoli, delle persone e non un “partito” – il sistema è interamente in mano alla perversa logica delle “parrocchie” e ti costringe (quasi: io non lo farò di sicuro) a votare “a blocchi” di nomi: ogni candidato che voglia nutrire qualche minima speranza di essere eletto deve cioè appoggiarsi a un “partito“, a uno schieramento, a una cordata, insomma, che lo sostenga. E che, nel 99% dei casi, fa capo a una corrente, a un’organizzazione, a un interesse rappresentato nel grande barnum del giornalismo nazionale, ovvero nell’Ordine o della Federazione Nazionale della Stampa.
Nulla di occulto o di arcano, sia chiaro, solo le solite camarille: destra e sinistra, moderati e radicali, sedicenti indipendenti contro organici per vocazione. Ma tutti, inderogabilmente, incatenati al meccanismo del “rimorchiatore”: se ti accordi, la macchina ti trascina, altrimenti la campagna elettorale te la fai da solo, ti cerchi gli elettori uno per uno e poi soccombi inesorabilmente 100 a 5, perchè il sistema è potente, collaudato e ben oliato.
Sarà anche democrazia, ma a me fa orrore.
Io vorrei che i candidati si mettessero in gioco da soli e affidassero il risultato agli argomenti, alle idee, alla reputazione che hanno, senza le veline o i pizzini, cartacei o virtuali che siano, che abbondantissimi circolano nell’universo mondo della categoria prima e durante le consultazioni.
Una delle più spiacevoli appendici di tutto ciò è poi la campagna elettorale: una stucchevole, interminabile alluvione di vacue promesse, di roboanti proclami e di pugnalate alle spalle tra avversari, incluse calunnie, diffamazioni, colpi bassi. Con un dispendio di tempo e di energie assolutamente risibile rispetto – in genere – al profilo morale, alla determinazione e alle capacità del candidato di turno.
E’ questa la principale ragione, ovvero la mia incapacità fisica di sopportare la melassa ipocrita della propaganda e di dovermene fare addirittura complice, per la quale, nonostante copiose e perfino lusinganti offerte, ho deciso di non candidarmi.
Il prezzo della riuscita (eventuale, ovviamente) era chiaro: avrei dovuto affidarmi al “partito” prescelto e assecondarlo nei temi da trattare, nei bersagli da colpire, nei nemici da affossare, nei compagni d’avventura da affiancare. In questo, almeno, il sistema è onesto e ti dice subito, chiaro e tondo, come stanno le cose.
Per molti è normale, per me è ripugnante.
Ciononostante (le regole sono qui) voterò.
Perchè sono convinto che l’Inpgi, la cassaforte della professione (e non a caso il forziere che tanto fa gola, assieme a quelli degli altri enti previdenziali, alla ministressa piangente, Elsa Fornero), sia il primo pilastro da difendere per chi fa il nostro mestiere. E perchè non si può permettere che una componente tanto strategica del nostro futuro, come le pensioni, possa essere affidato a dei ciarlatani. Si tratta di una battaglia più importante e più vitale di quella per l’Ordine e per il sindacato.
Sia chiaro: non mi illudo affatto che a comandare vadano solo galantuomini capaci di pensare con la propria testa. Sono anzi quasi rassegnato al fatto che il 90% delle seggiole andrà ai soliti capponi d’allevamento della partitocrazia giornalistica. Ma non dispero che, un po’ per l’effetto resipiscenza che sembra serpeggiare in alcune parti sane della categoria, un po’ perchè il voto elettronico si presta effettivamente di meno ai soliti, squallidi giochini dei Toni Binarelli delle schede, qualcosa di buono dalle urne possa uscire.
Parlo del resto per esperienza diretta: all’ultima tornata, del tutto inconsapevole (rectius: incredulo) delle grandi manovre a cui anche le elezioni dell’Inpgi danno vita, mi feci convincere a candidarmi, salvo scoprire a cose fatte che avrei dovuto sottopormi, per sostenere la “lista”, a tour elettorali nazionali e a farse comizianti. Naturalmente mi rifiutai. E nonostante la nessuna propaganda presi, con mia enorme sorpresa, alcune decine di voti.
Ora ci risiamo. Stavolta non sono in lizza. La professione è ancora più in crisi di prima ma le acque paiono meno stagnanti.
E quindi apprestiamoci, montanellianamente, a turarci il naso e a votare per l’Inpgi.