Una cittadella arcigna assediata da un esercito variopinto. La mela della rappresentanza. Il re delle partite iva contro il regno delle tessere. I giovani eroi, i vecchi guerrieri, le spie e le concubine. I trucchi, le astuzie, le dialettiche. Le Cassandre. Le battaglie. Il “Barcone di Troia” e il naufragio finale.

Di là i Troiani, burocraticamente asserragliati nella cittadella sindacale “unitaria”. Di qua i freelance, da decenni accampati alla bell’e meglio sotto le mura.
Di sopra gli uni, dabbasso gli altri.
Nella sala del trono di Troia campeggia sul tripode la mela della rappresentanza, che in tempi remoti un Paride distratto ha consegnato arbitrariamente all’Elena federale. La quale ora ben si guarda dal restituirla, come reclamato dagli assedianti.
Nella sua tenda schiuma di rabbia e di frustrazione Agamennone, re delle partita iva, meditando vendetta. Attorno a lui, la moltitudine di un esercito variegato e ondivago, pieno al contempo di ingenui eroi, vecchi guerrieri, ribaldi, mercenari, giovani dal sangue caliente, imboscati, disertori, concubine. Tanti capi senza una strategia e nessun Ulisse, sempre pronti ad abboccare – ora l’uno, ora l’altro – alle bislacche offerte di pace che lo scaltro Priamo fa filtrare dalle possenti mura, secondo una strategia che nessuno riesce a decifrare ad eccezione di poche, ma inascoltate Cassandre.
Ai margini del campo di battaglia, ben camuffati da guerrieri, i mercanti di armi, i mezzani, le spie, i balordi e tutti coloro che dai traffici e dai costi di una guerra infinita hanno tutto da guadagnare, compreso giustificare la loro esistenza.
Perché questa non è una guerra tra eserciti e di scontri campali.
No, qui gli eserciti fanno da spettatori, da corona urlante.
E’ invece una guerra di delegazioni, di piccoli gruppi scelti che periodicamente si scontrano secondo un calendario rituale. E da cui i delegati troiani escono puntualmente vincitori, trascinando poi nella polvere, col carro, il cadavere martoriato dei nemici attorno all’accampamento avverso, in segno di superiorità e di dileggio.
Il conflitto è scandito da scontri di serie A e di serie B.
Quelli di serie A si svolgono ogni quattro anni sul Monte del Contratto. Qui gli Achei vengono attirati con parole melliflue, blanditi con promesse, incoraggiati con prebende, poi pugnalati alle spalle e abbandonati a se stessi nella Foresta dell’Editoria, bosco incantato da cui escono decimati per gli stenti ed i morsi dei lupi.
Quelli di serie B non hanno invece una cadenza regolare e si svolgono nei luoghi più disparati dell’immensa palude ilia: le Grotte Capitoline, la Gola delle Consulte, la Macchia degli Sportelli, la Spianata delle Fiaccolate, la Scogliera delle Tariffe. Ognuna di queste tenzoni è preceduta da incontri tra ambasciatori in cui i Troiani simulano obliquamente la volontà di riappacificarsi e poi sopraffanno i freelance con tecniche da guerriglia.
Ma ora anche Priamo è stanco.
Dal confinante Regno dell’Ordine, finora fedele e silenzioso alleato, arrivano segnali di malessere. Il trascinarsi della guerra, il blocco dei commerci, il flusso dei profughi ha danneggiato l’economia dell’intera regione. L’industria del tesserino, fiorente oltre confine, comincia a languire, indebolita dal crollo della fiducia dei consumatori. Ai regnanti ordinistici cominciano anche a far gola le fertili pianure federali e le rendite assicurati dai diritti feudali imposti da Troia a cittadini sempre più riottosi e vogliosi di emigrare.
Bisogna agire.
Priamo convoca Ecuba, Enea, Ettore, Andromaca e pure Astianatte, perché la quota gggiovani fa sempre colpo. Espone loro il suo piano: “Proporremo agli Achei un progetto di pace, offrendogli di delegare noi a scalare in loro vece il Monte del Contratto, mentre tutti potranno tornare a casa su un barcone che provvederemo noi stessi a costruire e a donare loro. Ovviamente il nocchiero sarà uno dei nostri. E anche alle vele metteremo uomini di nostra fiducia. Saremo noi a fornire le carte nautiche, in modo che il percorso sia lungo, molto lungo, e che essi si trovino in alto mare al momento di cominciare la scalata. A quel punto, forse, loro cercheranno di tornare indietro, ma molti affogheranno tra i flutti, altri saranno morti per lo scorbuto e non sarà difficile ingannare i superstiti con le solite, dolci parole”.
Il barcone fu così costruito e molte volte, per creare tensione nel campo avversario, il varo fu annunciato e perfino simulato.
Non tutti gli Achei salirono. Qualcuno, per diffidenza, rimase a guardare sulla battigia. Altri presero il mare da soli, su piccoli gusci inadeguati alle onde. Altri ancora si nascosero, sparpagliati, nei boschi circostanti, per vedere quello che sarebbe successo.
Furono comunque in molti gli sventurati a salire e solo in mare aperto si accorsero dell’inganno. Invocarono inutilmente di cambiare rotta. Minacciarono di ammutinarsi, subito ricondotti alla ragione dagli armati troiani fuoriusciti dalle sentine. Qualcuno si tuffò, sperando di raggiungere a nuoto la riva. La maggior parte rimase però muto e disperato nella stiva, in attesa del naufragio oppure di essere ricondotto a Troia in catene.
Nell’arce, intanto, brandendo trionfanti la mela della rappresentanza, i capi federali festeggiavano la vittoria con calici di champagne e bocconi di brioches.
Cantami o diva dell’ivato Achille l’ira funesta, che tanta disgrazia addusse agli Achei…