Interessante sopralluogo a Montemiletto (AV), per l’anteprima della nuova annata del grande irpino che sta per andare in commercio. Impressioni? Discrete, ma è lo stile che preoccupa. E che rischia, omologandolo, di sciupare un gioiellino da custodire con cura.
Ho volutamente lasciato passare un po’ di tempo dal momento nel quale le cose di cui ora mi accingo a scrivere hanno avuto luogo. La ragione è semplice: desideravo poter riflettere con calma su certe considerazioni da fare. Adesso che ho le idee chiare, dico la mia.
Devo premettere che avevo una conoscenza piuttosto vasta ma molto spargola di quel grande rosso che è il Taurasi e del territorio in cui è prodotto, l’Irpinia. L’occasione di assaggiare in batteria più bottiglie contemporaneamente e di farmi un giro del comprensorio era dunque imperdibile a prescindere. Per questo ho accettato volentieri l’invito alle sedute di “rating” dell’annata 2008 rivoltomi da Diana Cataldo e Massimo Iannaccone di Miriade, l’agenzia organizzatrice dell’evento, che ringrazio e con i quali anche mi congratulo per l’ottima riuscita. Sono tornato ricco di nuove informazioni e di nuovi interrogativi a cui rispondere in una prossima, spero più approfondita occasione. Segno che l’obbiettivo dei promotori – incuriosirmi – è stato raggiunto.
Anche perché, diciamolo, Taurasi Vendemmia 2008 (questo il nome ufficiale) è manifestazione impegnativa sotto molti punti di vista: organizzativo, economico, climatico, geografico, “politico” e, vista la formula, anche concettuale.
Da un paio di edizioni, infatti, il voto attribuito al millesimo è, grazie a una originale e metodologicamente condivisibile scelta di fondo, solo “tendenziale”. Insomma rivedibile nel futuro. Ed è ricavato dalla messa in fase di quattro diversi parametri elaborati da due fonti diverse: quelli climatici e agronomici, affidati a una commissione tecnica di produttori ed enologi, e quelli qualitativi ed evolutivi, affidati invece ai giornalisti accreditati.
Alla fine di questa complessa elaborazione, la valutazione complessiva data all’annata 2008 è stata molto elevata: 18/20.
Ne prendo atto, anche se dal mio punto di vista, o meglio da quello dei vini 24 degustati, sempre e solo alla cieca (cioè tutti, sui 36 presenti, esclusi cioè i mai troppo deprecabili campioni da botte), avrei tolto almeno un paio di voti: non tanto per una questione di qualità intrinseca, sempre piuttosto alta, ma per la fastidiosa sensazione di omologazione che ho trovato spalmata su quasi l’intero parco-vini, tutti molto alcoolici, connotati da un uso massiccio e a volte invadente del legno, nonchè da una spiccata tendenza ad adeguarsi a certi standard internazionali che – non è un mistero – non sono la mia passione. Insomma, ho trovato qua e là quello stile un po’ datato e “taurino”, così diffuso in Italia, che ai miei occhi non è esattamente rassicurante in termini di tendenza della denominazione a mantenere la propria personalità.
Tanto premesso, tra i 2008 i miei favori sono andati a pari merito al Radici di Mastroberardino e all’Hirpus di Contrada Vini, seguiti a ruota all’Andrea di Colli di Lapio, al Vigna Villae, al Primum di Guastaferro, a Urciuolo, al Nero Né del Cancelliere. Tra i 2007 mi piace segnalare il vino a mio parere migliore di tutti i Taurasi che ho assaggiato nella circostanza, il Principe Lagonessa di Amarano.
Decisamente interessante anche la degustazione retrospettiva che ha preceduto l’anteprima, quella di nove campioni del 2002, annata difficile che, a quasi dieci anni, si è confermata non eccelsa, vedendo scendere il proprio rating da 12 a 11/20. Ma che proprio per questo ha proposto vini godibili, pronti da bere e, nel loro squilibrio a volte anche spiacevole, ricchi di personalità e di tratti ben individuabili. Tra le etichette, le mie preferite ex aequo sono state l’Alta Valle di Colli di Castelfranci e il Villa Raiano.
Resta da dire della bella (e impegnativa, visto il clima) location, il magnifico castello normanno Della Leonessa, nel borgo di Montemiletto, e della formula piacevolmente “antica” della manifestazione, incluso un lungo convegno tecnico pomeridiano e la classica cena coi produttori. Appuntamento che lì per lì a volte può sembrare poco appetibile, ma che alla fine si rivela gradevole e indispensabile per la conoscenza diretta dei vini, delle aziende e del territorio che li ospita. Grazie quindi anche alla Tenuta Cavalier Pepe, a Cantine di Marzo e a Villa Matilde, che ci hanno ospitato per la serata finale.
Un’ultima nota: abbiamo raccolto e sottoscritto l’accorato appello a farla finita con l’abitudine un po’ frusta di definire il Taurasi il “Barolo del Sud”. Bene. Speriamo però che domani la tendenza all’omologazione non ci costringa a parlare del Barolo come del “Taurasi del Nord”. Nessuno avrebbe da guadagnarci.