Il presidente uscente dell’Odg è stato confermato – e non era scontato – grazie a un successo personale basato su alleanze strategiche delle quali adesso potrebbe arrivare il conto. Ma che ha il merito di aver variato una geometria in apparenza immutabile.

Enzo Iacopino è stato confermato alla presidenza dell’Ordine dei Giornalisti. Una notizia che non era affatto scontata e che giunge al termine di uno scontro elettorale tanto aspro quanto rivoluzionario. Molto più di quanto non sembri.
Metto le mani avanti e dico: sono contento.
Lo sono perchè Iacopino – con il quale in passato non sempre mi sono trovato in sintonia, come anche su questo blog è facile verificare – mi è innanzitutto simpatico. Poi perchè non si nasconde, anzi, è uno che si espone pure di persona, frequenta, appare e non solo nei luoghi deputati ai papaveri o a chi cerca visibilità. Infine perchè, nella sua battaglia per la rielezione, ha dimostrato un certo coraggio.
Un coraggio insolito per questo tipo di tenzoni combattute quasi sempre nel retrobottega delle sacre stanze: ha stretto alleanze rischiose, ha cavalcato la tigre dei movimenti, si è chiamato fuori dall’ortodossia e dalla liturgia, è insomma uscito dalle geometrie del sistema. Firmando forse cambiali che ora potrebbero passare all’incasso. Ma che sono anche il sintomo di una presa d’atto e di un’intuizione importante: con quello che stiamo passando, nulla più, all’interno della categoria, potrà restare com’era. E lui, lungimirantemente, se n’è accorto.
Chi mi legge sa bene quanto il sottoscritto sia lontano da partiti, partitini, parrochie e giochetti politici. Quelli da cui il meccanismo di elezione del presidente dell’Odg non è certamente immune.
Lungi quindi da me dipingere Iacopino come un cavaliere senza macchia e senza paura.
La sua cavalcata mi ha ricordato però la Crociata dei Pezzenti, il movimento popolare (in cui “pezzenti” stava per poveri, gente comune, non titolati) che, guidato da Pietro l’Eremita, alla fine dell’XI secolo anticipò tutte le spedizioni in Terrasanta, poi passate sotto il nome di Crociate. Iacopino ha infatti costruito il suo successo elettorale appellandosi, non senza qualche retorica, agli “ultimi“, ai sans papier del giornalismo (quelli che la burocrazia sindacal-professionale chiama autonomi, relegando in un solo, inutile buglione freelance, disoccupati, abusivi, contratti a termine, cococo, pubblicisti, etc) ed ergendosi a loro paladino. Ha blandito i coordinamenti dei precari, ha sostenuto da Carta di Firenze, ha incoraggiato l’equo compenso.
Tutta facciata“, dice qualcuno.
Può darsi.
Ma anche se fosse, quella di Iacopino è stata un’intuizione geniale. Perchè è il segno che lui ha capito non solo dove stanno i grandi numeri (e quindi i grandi volumi di potenziali voti), ma soprattutto dove va ormai inesorabilmente la professione: verso una precarizzazione generale pericolosamente inclinata, se non si adottano urgenti rimedi, verso la deprofessionalizzazione e il dilettantismo. Un ordine fatto di decine di migliaia di “color che son sospesi” che si appoggiano senza equilibrio su una concrezione di garantiti sempre più esile e sempre più impegnata, con il suo sindacato, in una sterile e autoconservativa battaglia di retroguardia.
Intendiamoci: Iacopino non ha certo vinto la guerra. Che appare difficile assai (lunga no, perchè la categoria è allo stremo e più di tanto non riuscirà a durare).
Certo, i precedenti storici non sono incoraggianti: la masnada dei pezzenti finì male tra divisioni interne, imboscate e errori politici prima ancora di arrivare a destinazione. E qui si frammentò di nuovo in fazioni, prima di cadere facilmente per mano del sultano e della sue astuzie tattiche.
Speriamo che Enzo II abbia più fortuna di Pietro l’Eremita, che i pezzenti suoi seguaci abbiano scarpe grosse e cervello fino e che il Santo Sepolcro non si trasformi nella tomba della nostra professione.
Una battaglia è già in corso e i pericoli (fuoco amico incluso) sono parecchi: è quella dell’equo compenso.
E già si profila intanto all’orizzonte il terreno che sarà teatro del prossimo scontro campale in cui il rieletto presidente dovrà misurarsi: la lotta al giornalistificio.