Domenica 1 ottobre, dalle 10 alle 18, in tutta Italia si vota per il rinnovo delle cariche regionali e nazionali dell’Ordine dei Giornalisti. Non è stagione e quindi non andrò al mare. Ma non voterò. Per alcune buone ragioni, tutte valide, che elenco qui sotto in ordine sparso. Ciononostante, invito i colleghi a votare.
1) Ho un impegno di lavoro fuori regione e non riesco a rientrare in tempo. L’impegno di lavoro è oltretutto coincidente con un corso di formazione per lo stesso OdG. Ditemi voi se vi pare una cosa logica.
2) Gli orari sono limitati, ma non per colpa dell’Ordine bensì della legge del 1963, quando i giornalisti erano un ventesimo rispetto a oggi. Ognuno si faccia le domande e si dia le risposte che crede.
3) Non si può votare elettronicamente, il che non solo è scomodissimo, ma in sostanza e soprattutto priva di fatto gran parte la categoria della possibilità di esercitare il proprio diritto, visto che spesso i seggi sono a distanze siderali rispetto alla residenza dell’iscritto (in Toscana, ad esempio, sono solo nei centri storici di Firenze, Siena e Livorno) e pretendere che di domenica uno si faccia 100 km d’auto a spese proprie per votare è un incentivo al non voto.
4) Le candidature e il voto sono, anzi sarebbero, individuali, insomma si dovrebbe votare la singola persona, perchè la legge in vigore non prevede la presentazione di liste elettorali e tutti gli iscritti all’OdG sono teoricamente eleggibili, se iscritti da almeno 5 anni ed in regola con gli obblighi formativi. Poi, però, non solo tutte le “correnti” (ovvero la rovina dell’Ordine) presentano proprie liste di “raccomandati”, con tanto di segnalazioni specifiche di ruoli e cariche, nonchè di pizzini cartacei pro memoria distribuiti qua e là, ma se sei un vero indipendente e quindi non sei incluso in nessuna di queste liste non hai la minima possibilità di essere eletto, perchè ogni schieramento fa scendere in campo proprie truppe cammellate, quelle dei fedelissimi che votano sotto dettatura e, se esitano, vengono prelevate casa per casa dai militanti per essere portare al seggio e votare (ortodossamente, si capisce). Quindi la lotta tra l’indipendente e l’apparrocchiato è impari. Sul come mai i capibastone non chiedano agli indipendenti di candidarsi con loro fatevi le domande e datevi le risposte di cui sopra.
5) Scorro le liste e vedo inciuci insopportabili. Ex nemici diventati amiconi, cani e gatti uniti nel nome dell’urna, sofisticate o, secondo i punti di vista (ad esempio il mio), patetiche opere di equilibrismo dialettico e di ingegneria elettorale finalizzate a garantire il posto ai soliti noti o a carneadi con funzione di utili idioti. Il tutto condito da sgradevoli campagne elettorali con scambi di accuse e calunnie, rinfacciamenti, disinvolti cambi di gabbana, in un quadro di lotta di potere e di personalismi contrapposti.
E’ tutto un gran peccato, perchè in teoria sono convinto che solo la categoria possa salvare la categoria e che, quindi, solo consentendo a chi ha idee, capacità e voglia di mettersi al servizio della professione si possa sperare di salvare un mestiere agli sgoccioli.
E’ un gran peccato anche perchè, nelle liste, leggo i nomi di qualche valido giornalista e di qualche ottimo amico che senza dubbio meriterebbe il mio voto e lo otterrebbe, se potessi votare e se votare servisse a qualcosa.
Già, perchè il mio è tutt’altro che un invito ai colleghi a disertare le urne.
E’ anzi un’esortazione a votare.
Purchè lo si faccia consapevolmente, sapendo cioè che l’unico modo di dare un senso al tempo impiegato nella cabina elettorale è fare di testa propria, scrivendo i nomi delle persone che si stimano a prescindere da liste di appartenenza, gli apparentamenti, le parrocchiette, le ideologie e i bigliettini trovati miracolosamente in tasca e messi da chissà chi, le pressioni e le occhiate.
I nomi di gente, magari, neppure candidata.
Certo, saranno voti dispersi.
Ma sarebbe anche l’unico segnale possibile da dare ai signori delle tessere e ai politicanti del giornalismo.
Quindi andate a votare e fatevi sentire.
Se poi vi verrà in mente di vergare sulla scheda quello che scrisse un anonimo diventato famoso tanto da meritarsi il titolo di un volumetto sulle amenità elettorali italiane (“Cazzi vostri, io vado in Svizzera“), pazienza.