Neanche la seducente sirena dell’on line può rendere compatibili due figure che una certa vulgata semplicistica tenta spesso di far coincidere: quella del giornalista e dell’imprenditore. Se ne parla il 2 e 3/10 al festival del giornalismo digitale di Prato.

Sebbene nessuno mi abbia ancora spiegato bene, e quindi io non abbia mai capito, quale reale differenza corre tra il giornalismo normale e quello digitale, salvo il fatto che il secondo si appoggia a una specifica tecnologia (circostanza che però, a parer mio, non muta affatto la natura del giornalismo praticato attraverso di essa), anche quest’anno sarò presente a Dig.it, il festival nazionale dedicato alla “specialità”, in calendario a Prato il 2 e 3 ottobre prossimi (il programma completo è qui).
Ci sarò (a parte la presenza di molti amici e stimati colleghi) per due motivi, uguali e contrari.
Il primo è che in queste occasioni c’è sempre da imparare.
Per me, che sono un semianalfabeta digitale (secondo mia moglie sono analfabeta totale), apprendere tardivamente l’esistenza di tecniche, strumenti, invenzioni e metodi che con ogni probabilità non riuscirò mai a usare, è comunque utile. Sapere e basta è peggio che saper usare, ma è meglio di nulla e si può sempre sperare che qualche piccolo seme digitale germogli anche in menti aride come la mia.
Il secondo è che il 3 ottobre alle 10 ci sarà un convegno su un tema che mi sta assai a cuore e che ho trattato spesso (ad esempio qui), dal titolo quantomai significativo: “Il giornalista imprenditore: unica via eppure impossibile da percorrere“. Interverranno colleghi di ottimo spessore ed esperienza ma, a quanto mi è dato sapere, tutt’altro che “nativi digitali“, come Pino Rea, il presidente dell’Ordine Enzo lacopino, Luigi Cobisi, Marco Giovannelli, Alberto Puliafito, Raffaele Lo Russo.
E meno male. Perchè, a mio modesto parere, su questa panzana del “giornalista-imprenditore” che un numero sempre maggiore di giornalisti o pseudotali utilizza come scusa per piegare le regole della professione a pratiche e finalità commerciali, andrebbe fatta definitivamente chiarezza.
Soprattutto in un periodo come il nostro in cui la crescente mancanza di scrupoli da un lato, le difficoltà economiche dall’altro e la scarsa consapevolezza professionale dei giornalisti, frutto del giornalistificio imperante, da un altro ancora, rischiano di azzerare la fondamentale soglia tra chi è pagato per fare informazione e chi attraverso la stessa fa (legittimi) utili.
Insomma sono figure incompatibili per evidente conflitto di interessi.
Un conflitto di interessi e una incompatibilità le cui soglie però le ambigue sirene del digitale contribuiscono ad appiattire, alimentando la tentazione di molti giornalisti di trasformarsi da produttori di notizie a produttori di comunicazione, sull’onda di una maliziosa confusione concettuale tra blogging, social, testate on line, giornalismo, infotainment, autoimprenditoria, eccetera.
Qualcuno oggi si chiederà infatti  qual è, in fondo, la differenza.
Ecco, appunto.
Sono curiosissimo di andare a vedere che si dirà.